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Siamo tutti indignados?


“Niente resiste tranne la qualità della persona”

(Walt Whitman)

 

Interessante fenomeno, questo degli Indignados. Parliamo qui, ovviamente, solo della parte pacifica, quella autentica, originaria, che vede masse di persone, perloppiù giovani, ammassate in cortei, sit-in, tende variopinte, per strade e piazze centrali, luoghi-simbolo delle capitali del mondo. Madrid, New York, Roma, Atene…..
Ha attirato la mia attenzione il termine – indignados – termine curioso: non fa parte dei più comunemente usati, e deriva dalla radice semantica di dignità. Dignità. Chi ne parlava più? Sembrava un termine obsoleto, altisonante, libresco. E invece no: dignità è pane quotidiano dell’essere persone, non si può vivere senza. Diceva Che Guevara che “bisogna pagare qualunque prezzo per il diritto di tenere alta la nostra bandiera”; ecco, cosè la dignità, tenere alta la propria bandiera.
Dignità è rispetto e amore per se stessi, per ciò che si è, si fa e si rappresenta; è l’aspetto maturo dell’amor proprio, è sano narcisismo, diremmo in psicoanalisi. E’ non abbassarsi ad eccesso di compromessi, non cedere alle lusinghe e ai negazionismi, non abdicare al coraggio…è davvero molte altre cose ancora. E’ vero che tutto parte dalla Crisi (la prima piazza fu infatti Madrid, capitale di un Paese particolarmente colpito), ma è davvero tutto lì, un fatto economico, seppur grave e pericolosamente esteso, come sta avvenendo? Io credo di no. Indignados sì, verso un sistema economico, quello capitalistico, che ha rivelato le sue falle e le sue crepe, ma il sentimento si aggancia ad un più ampio, a me pare, bisogno di ricercare un senso di sè nella vita e nel mondo: i giovani sembravano diventati apatici, spenti, le nuove generazioni parevano incapaci di ribellioni feconde e rotture. E invece no, non tutti. Ad ondate, a cicli, le nuove generazioni, nei loro esponenti più vitali e più vivaci, nei loro portavoce, si ‘agganciano’, potremmo dire, alla crisi del loro tempo, per esprimere, per urlare la loro disperata ricerca di senso. Prima si chiamavano no global, oggi indignados. L’accento nel primo caso era messo sul mondo; oggi, sul senso di Sè.
Che cosa è una vita senza dignità? Che cosa fa una vita specificatamente umana? La prima cosa che rende degni, dicono gli indignatos, è il Lavoro; poi la distribuzione delle ricchezze, il recupero dell’etica in un’economia anticapitalistica, contro le manovre occulte della grande finanza, del mondo di cartone della grandi Banche. Come non essere, almeno idealmente, d’accordo? Gli indignados non si limitano a protestare, propongono anche le loro soluzioni: tassare i grandi patrimoni, colpire le rendite finanziarie, quegli involucri vuoti che rappresentano la ricchezza postmoderna, dove il guadagno non proviene dal lavoro, non è frutto dell’applicazione umana, ma si crea e si produce artificialmente, nel circuito virtuale e chiuso delle Borse mondiali.
Siamo di fronte, in fondo, ad un nuovo volto del comunismo, ad una rivisitazione postmoderna del marxismo? Sembrerebbe proprio così: nella Storia, ciclicamente, l’esigenza umana di giustizia sociale si fa urgenza impellente, e sotto la spinta delle crisi economiche dà vita a movimenti culturali che necessariamente rispolverano le teorie marxiste, adattandole, come in un teatro, al costume, al linguaggio e all’iconografia dell’epoca.
Prima compagni, ieri no global; il nuovo rivoluzionario della liquidità postmoderna, si chiama col bellissimo nome di Indignados.

(Rossella Valdrè)