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BANDIERA BIANCA:
riflessioni sull’alluvione nel messinese. 

                             Messina, novembre 2011

E’ una bella giornata di sole.  E’ domenica. Me ne stò seduta in una comoda poltrona in rattan di un improvvisato localino sulla spiaggia.
Una birra, un panino e il sole caldo che sembra estate. Una musica di sottofondo  culla i pensieri e sembra di trovarsi, come qualche mese fa, alle isole Eolie a godere del tempo rarefatto.
Sembra strano dopo giorni di tuoni e tempesta, ma quasi, adesso, non ci si pensa più.
Attorno a me un vociare, anche quello estivo, di avventori smanicati con birra e patatine per un aperitivo.
Non ci si pensa più.
E’ la fine di novembre e nei negozi compaiono i primi addobbi di natale; ma la distesa del mare è estiva, immobile e azzurrissima.
Ogni tanto la boa arancione segnala la presenza di un sub.
Si scorge il gorgogliare nell’acqua della lenza lanciata in profondità da qualche pescatore amatoriale.
Sembra proprio che non ci si pensi più.

Ma qualcuno, ad un tratto, dice: “Guardate quanti detriti che galleggiano”.
Tronchi, carcasse in ferro, altro materiale a pezzi, attraversano come svogliatamente l’acqua in un movimento rilassato, come di chi si stà riposando dopo una navigazione impetuosa.
Sono “pezzi” dell’alluvione. Parti di un qualcosa che il fiume ha travolto ed è scivolata, nei giorni a seguire, nel mare.
“Speriamo siano solo tronchi” – fa eco un’altra voce.
A queste parole il vociare estivo si spegne come si fosse spenta una radio e ora si sente solo silenzio.
…Non è vero che non ci  si pensa più.
La vista dei tronchi galleggianti risvegliano fantasie di morte, di devastazione che abbiamo appena visto colpire le nostre terre. Le stesse in cui d’estate si và a villeggiare o alla domenica mattina si fa una passeggiata in macchina per fermarsi in qualche buona trattoria locale. Rievocano immagini di corpi irriconoscibili, orribilmente mutilati, scomposti, come non siamo abituati a vedere, visto che, per fortuna, la nostra generazione non ha vissuto la guerra.
Mi torna in mente il racconto di un’amica/collega che, durante l’alluvione dello scorso anno di Giampilieri, dovendo coordinare i soccorsi alle famiglie delle vittime si occupò del servizio all’obitorio realizzando una squadra di volontari tra gli  specializzandi.
Ciò che li colpì particolarmente fu la visione non tanto dei morti ma della quantità di morti.
Tanti morti tutti assieme. Tanti morti scomposti, sporchi, infangati, smembrati, mentre la nostra abitudine è vedere la morte (una alla volta), “vestita”, composta,  distesa su un letto, circondata da fiori,  ceri e preghiere.
Certe immagini sbalordiscono e trovano impreparato anche il nostro immaginario oppure colludono coll’immaginario catastrofico e mostruoso; così come vedere un tronco galleggiare, se pure in un mare invitante che rievoca atmosfere estive e vacanziere, può attivare un’allerta; l’allerta del sentirsi impotenti e fortemente spaventati di fronte alla natura e alla sua forza, e quella di trovarsi in  contatto con l’imponderabile sito in noi stessi.
Si presentano, allora, alla mente, una alla volta ma con l’impetuosità  dell’affollamento, una serie di informazioni , che durante questi giorni hai sentito, anche distrattamente, frammenti, come fossero cose  ordinarie e invece ti accorgi che hanno, più che dell’incredibile, dell’inimmaginabile.
Una collega del Laboratorio che abita a Barcellona, impegnata in questi giorni a spalare il fango ci ha raccontato che bisognava far presto perché, se non si fa subito, il fango si indurisce e diventa duro come cemento. Non si può rimuovere. (!!) Si può immaginare questo?
Una delle vittime è stata trovata solo ieri, sommersa da 16 metri di fango. Si può immaginare questo? Era andato a chiudere le finestre della cantina quando è stato travolto dall’acqua. Stava semplicemente chiudendo una finestra. Si può immaginare questo?
Una donna incinta si è presentata al Pronto Soccorso del Policlinico di Messina tutta ricoperta di fango. Una donna “col pancione” sporca di fango, coi vestiti lacerati,  scomposta. Si può immaginare questo?
Si verifica allora una condizione inquietante dove sembra porsi in essere l’inimmaginabile.
Immagine sporche, e non tanto di fango. Immagini che fanno emergere sensazioni  brutali, la violenza che incrudelisce su esseri inermi, impreparati, riattivano vissuti “sporchi” con cui siamo chiamati a convivere nella quotidianità, nell’ordinario (e questo è un’aspetto non trascurabile) e a non dimenticarci di elaborare affinchè  i “detriti” non si trascinino dentro di noi come quei tronchi che vedo solcare il mio mare di novembre.
Ecco, allora, che forse necessariamente e non tanto superficialmente, rimani incollata al tuo panino con birra, al  calore del sole sulla tua pelle, e non smetti di guardare quelle acque azzurrissime come se tutto ciò ti servisse per riposare, per far sbiadire la visione della massa di quelle acque grigie-marroncino, impetuose, che si precipitano su cose e persone, travolgendole, mentre il vociare estivo accarezza la mente, ancora, per farla riposare dalle grida spaventose che tutti abbiamo sentito provenire dai video fatti coi telefonini e mandati a ripetizioni dalle tv.

Donatella Lisciotto

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