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Barcellona Pozzo di Gotto (ME), 4 dicembre 2011

Oh…issa! … gridarono dopo l’alluvione

E’ il grido profondo, quasi viscerale, che i marinai lanciano tirando su le reti col pescato. E’ l’esortazione dei muratori nell’affrontare la fatica del sollevamento pesi alla carrucola. La prima esortazione, il primo oh…, è necessario affinché i braccianti si dispongano in atteggiamento tale da permettergli di raccogliere tutte le proprie energie così che  al grido … “issa” si possa issare, tirar su con tutta la forza. Solo così si può riuscire a svolgere bene questi  lavori. Da solo non puoi farcela, c’è bisogno dell’altro, di tutti gli altri.
Dopo Genova e le Cinque terre, due anni dopo Giampilieri, un altro tsunami travolge altri borghi e paesi del messinese. Ma la reazione della gente è immediata: l’acqua ancora scorre impetuosa ed i primi cittadini escono in strada per offrire un riparo a chi si trovava in pericolo; la sera arrivano i primi mezzi di soccorso; il giorno dopo è un pullulare di ruspe, bobcat e di centinaia di volontari con pale e carriole in mano.
La città è un cantiere: il fango è alto anche più di un metro ed è dappertutto. Ieri la paura, oggi la consapevolezza del disastro ma ancor più … del dover ricominciare. La città si accinge a medicare le sue ferite, la gente spala fuori il fango dalle case, dai negozi, dalle cantine e si chiede perché?!?
Catene umane vengono intrecciate dagli “angeli del fango”, così sono chiamati i tanti volontari della protezione civile, della croce rossa, delle squadre di calcio, basket, rugby,  dei gruppi scout, dei tanti gruppi parrocchiali, giunti da ogni dove, per salvare il salvabile.
Qualche settimana fa, al Laboratorio Psicoanalitico di Messina, leggendo un lavoro del professore Boccanegra sul lavoro d’equipe, mi colpì uno stralcio che ritrovo oggi tra le vie delle mia città, anch’essa investita da quella lava d’acqua e fango che ha trascinato con sé auto, scooter, ponti, e ancor peggio … pezzi di vita.
Scrive Boccanegra: “Per quello che poteva costituire la fienagione per la vita agricola, intendo riferirmi a  quando di casa in casa i contadini si aiutavano perché bisognava, in luglio e in agosto, scegliere le giornate assolate  per mettere mano ad un grande prato e riuscire a falciarlo in mattinata, dato che nessuno da solo sarebbe riuscito a far in tempo ad essiccarlo entro sera, e portarlo a casa in giornata . In quei giorni, le famiglie della contrada dovevano aiutarsi, perché non c’erano ancora i trattori e solo le grandi stalle potevano permettersi di avere almeno tre paia di buoi, in modo che i manzi  fossero già addestrati, per subentrare ai buoi  più grandi quando questi  invecchiavano.
L’azienda di carbone invece, aveva a che fare col fatto che arrivavano a Marghera le antraciti dall’estero (inglese, tedesca, polacca) oppure arrivava la legna dal Gargano o dalla Jugoslavia e bisognava, quando arrivavano le navi  che tutte le barche fossero disponibili.Che ci fosse nebbia o acqua alta non importava, bisognava che “le peàte” (le grandi chiatte) fossero trainate per tempo sotto il veliero per caricare la legna che poi veniva portata nei magazzini di deposito per la stagionatura. Anche in questo caso bisognava finire entro un certo tempo perché poi le navi o il veliero ripartivano.
In entrambi i casi, è a questo sinergismo che mi riferivo, rispondendo a Gerardo e a Marcello: all’indicazione di essere solleciti nell’ aiutarsi gli uni con gli altri, indipendentemente dal programma che ciascuno poteva aver fatto per conto proprio. Questasussidiarietà delle pratiche, questo fatto di dire: “In quanti siamo stamattina? Cominciamo noi, dopo proseguite voi. Quando sei stanco tu, dimmelo che continuo io”. Che si fosse poi in campagna o in laguna alla fine, stanchi morti dalla fatica, qualcuno intonava una canzone o un pezzo d’opera e la giornata finiva con un coro”.
La giornata degli “angeli del fango” a Barcellona finisce tra le lacrime com-mosse, per l’aiuto ricevuto, di una signora la cui casa era stata sommersa dal fango sgombrato da giovani e operose braccia. Finisce sotto lo sguardo degli occhi verde smeraldo di una nobildonna che grazie all’aiuto di un gruppo scout riporta alla luce, dalla cantina inondata della sua signorile villa, pezzi della sua vita: i libri del liceo, le scarpe con le zeppe e i tacconi degli anni ’60, ceramiche e confezioni natalizie di brandy, rum e grappe di antichi brand che rievocano gli antichi fasti delle feste in villa. Si crea  un movimento, non solo fisico, da un mano all’altra, da un ragazzo all’altro, dal buio della cantina alla luce della strada. Si tratta anche e, forse soprattutto, di una transizione emozionale dettata da quel “tempo sommerso – ritrovato ”. In quella catena degli aiuti alla cui estremità la signora selezionava ciò era perso per sempre da ciò che può essere recuperato, si mobilitano  spazi di affetti, spazi di pensiero, spazi di sogno. Nel ricordare, quegli occhi verdi smeraldo diventavano ancora più brillanti per via delle lacrime dignitosamente trattenute. La perdita ed il recupero. Il tempo del pianto ed il tempo della vita.  La necessità ineluttabile della ricostruzione dopo la “rimozione”, non solo del fango.
Oh… issa! grida la città sommersa dalla furia dell’acqua!
Su quella stessa acqua, adesso quieta, tra i rami di quel torrente da cui traboccò l’angoscia, è rimasta impigliata una malconcia bandiera italiana. Speranzosa, penso al tricolore del “risorgimento”!
Ripenso al fermento di tutta quella gente con gli stivali, con le scope, le pale, i secchi e gli stracci in mano, che come tante api operose rivogliono i loro alveari. Vogliono riconquistare le loro case, i loro negozi, la propria città, i propri spazi di vita.
Sembrano avere l’energia dei pionieri del west America che corrono anche contro il tempo per picchettare la terra, tanto agognata e desiderata. Ricordo la soddisfazione sui volti quando, dopo tanto fango, dopo tanto spalare e spazzare, rivedono il colore dei loro pavimenti e fieri come Neil Armstrong per la prima passeggiata sulla luna, piantano le loro bandiere, riaccendono le insegne dei loro negozi, agghindano le vetrine, riprendono possesso delle loro case .
Intanto, riaprono le scuole, l’acqua e la luce sono tornate in tutte le case, le strade sono state quasi tutte liberate dal fango e dai detriti, ma la polvere, ancora tanta, traspare anche sotto le luci delle stelle di Natale di una città che orgogliosamente ancora lotta, si affanna e sogna il suo pezzo di luna.

Giusy Bucolo

Socio fondatore del Laboratorio Psicoanalitico “Vicolo Cicala”

 

Anna Maria Crespi, Pescatori che tirano le reti

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