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Le verità nascoste

 

Sarantis Thanopulos

 

Le elezioni politiche rivelano un paese disorientato e fragile, avviato al declino. Colpisce, a leggerne i commenti, la difficoltà degli analisti di soffermarsi sulla qualità reattiva, emotiva del voto della maggioranza degli elettori. Comportamenti psicologici anomali di massa sono storicamente la causa più frequente di disastri politici che sarebbero stati evitati se i cittadini fossero stati in grado di seguire la strada di una valutazione mediamente ragionevole dell’interesse generale. Per gli esseri umani la difesa della propria stabilità psichica è prioritaria rispetto al loro benessere (materiale, affettivo o erotico che esso sia). Se gli elettori si sentono sopraffatti dalle proprie emozioni, perché  si trovano nell’impossibilità di elaborarle e di gestirle, cercano di liberarsene anche a costo di ipotecare negativamente il proprio futuro. Quando la rete di condivisione emotiva costruita dalle nostre relazioni private e pubbliche funziona bene, espande l’area di circolazione dei nostri vissuti modulando la loro intensità e ci offre modelli collettivi sperimentati che ci aiutano ad elaborarli. Quando la rete della condivisione funziona male, accade l’inverso: tutte le incertezze e le angosce prodotte da congiunture socioeconomiche sfavorevoli intasano il nostro personale modo di sentire e di pensare. Il sentimento più difficile da sostenere in un periodo di crisi è la depressione che il riconoscimento dei problemi e il cambiamento necessario per uscirne comporta. Il superamento del vissuto depressivo si ottiene con l’elaborazione della perdita che consiste in un doppio movimento: il recupero degli elementi più solidi della tradizione che garantiscono la continuità nella trasformazione; la costruzione di forme di relazione con la realtà nuove che liberano possibilità di vita precedentemente precluse. L’elaborazione della perdita richiede tre condizioni: istituzioni autorevoli e responsabili che incarnano i valori comuni; una società civile viva e propositiva che interroga i valori e li apre al rinnovamento; strutture forti di rappresentanza dei lavoratori che difendono il desiderio di tutti dall’egoismo di classe. Queste condizioni sono state progressivamente danneggiate in Italia a partire dagli anni ottanta. Siamo ormai un paese psicologicamente depresso, immerso in una crisi perenne (che precede di molto l’attuale crisi economica globale) e in preda a dispositivi di sopravvivenza maniacali. Berlusconi, incarnazione di una maniacalità che afferma come vita la morte, è riuscito a elevare il proprio modo di vivere nella costruzione artificiale, televisiva della realtà a modello esistenziale di gran parte degli italiani. Oggi è di fatto finito ma diversi commentatori gli attribuiscono la vittoria sottraendola a Grillo. Sono vittime di un’allucinazione veritiera:  Grillo è diventato (grazie anche al rigore depressivo di Monti) la resurrezione di Berlusconi, il pifferaio nuovo di una negazione magica della realtà che consente a chi vorrebbe guardare al futuro ma non ce la fa di volgere lo sguardo altrove. Cosa apprezza un italiano su quattro in questo uomo (diverso da Berlusconi ma egualmente convinto del suo destino di Salvatore) che gestisce il suo movimento come proprietà privata e sostituisce una reale proposta di governo con una denuncia generica e assai blanda nei confronti dei poteri più forti? L’assenza di forza di gravità nel suo programma che sospende domande contraddittorie nella vacuità di un progetto puramente antidepressivo.