testatonelavoce

 


Mandala 

So che nella mia città ci sono molti importanti segni dell’arte e dalla sapienza umana, ma nella mia fantasia ‘gnorante, Padova è cresciuta attorno ad un incrocio centrale e quasi puntiforme, il Canton del Galo. (Mi raccomando con una elle sola). Che poi, per forza, non è un solo angolo, ma quattro cantoni.
Molti anni fa un angolo offriva paste e krapfen, due altri abbigliamento fine, il quarto c’è ancora, è il Palazzo del Bò, il bue, l’antico edificio della storica Università. Anche se è solo un mio mito, mi piace pensare che i cittadini da sempre abbiano avuto come luogo nucleare questa sede del sapere insieme alla Sala della Ragione, il Salone, un gigante che sorge lì a due passi, familiare e insieme alieno come il felliniano Rex di Amarcord, con il tetto che certe notti appare e scompare nella nebbia. Poi di giorno le logge si popolano di viaggiatori affacciati a guardare i colori del mercato nelle piazze, mentre al piano terra, nelle gallerie oscure e profumate (per noi padovani soto el Salon) e nelle piazze, la gente fa la spesa guardando, parlando e girando sotto i tendoni delle bancarelle.
Su questo centro si può tracciare una croce con un asse che da una parte porta al megastadio Prato della Valle, e verso la cappella di Giotto dalla parte opposta. L’altro asse è puntato verso il Far West del Campo di Marte, che fa da contrappeso al complesso ospedaliero, città nella città, immenso monumento alla sofferenza e ai tentativi di capire e curare. Nelle direzioni ortogonali e intermedie si possono trovare piccoli o grandi luoghi del ricordo di secoli. Finito il percorso da noi scelto tra le varie vie, se lo si segue con la matita, resta sulla mappa un disegno concentrico, geometrico, con una simmetria approssimativa, come un merletto fatto davvero a mano e quindi imperfetto, disegnato dai nostri passi, che non sapevano di percorrere un itinerario già pensato da chissachì: un mandala del passeggio. 

Alberto Schon