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E’ di scena…

E’ di scena : “IDDU”
Se vai a Stromboli non puoi non visitare l’Osservatorio.
(…Sei stata all’Osservatorio?  Conosci l’Osservatorio? Non puoi non andarci. Quest’anno, poi, Iddu è uno spettacolo. Vai all’Osservatorio!!…).
Lo dice il nome, l’Osservatorio è un punto dell’isola di Stromboli dove si può osservare da molto vicino e senza rischio, le eruzioni del vulcano (Iddu, come viene chiamato dagli isolani). Dall’Osservatorio si deve transitare per continuare, accompagnati da una guida professionista, la scalata sul vulcano. Scarpe da trekking e zaino in spalla, li vedi partire dalle viuzze verdeggianti dell’isola a gruppi verso il tardo pomeriggio, sembrano cavalli fieri e baldanzosi; li vedi ritornare alle prime luci dell’alba, un po’ meno baldanzosi ma colmi dell’esperienza appena fatta, ancora con la polvere del vulcano nelle narici e tra i capelli, infreddoliti ma sazi.  C’è un punto della scalata in cui viene data l’opportunità, per chi non se la sente di continuare, di tornare indietro. Chi continua, invece, farà parte di una cordata che andrà fino alla fine,  e vedrà le bocche incandescenti e sentirà l’odore del fuoco. Non c’è nessuno che torni deluso e che non abbia voglia di rifare la scalata il prossimo anno.
Invece, chi come me, non ha una preparazione sportiva, si accontenta di fermarsi all’Osservatorio dove è sorto un posto di ristoro e si può cenare.
L’Osservatorio si raggiunge in tre modi.
A piedi per un percorso di mezz’ora, in salita e accidentato, a strapiombo ma molto bello. Più sali più ammiri l’isola dall’alto, le luci  si ammorbidiscono e cambiano colore a tutto il paesaggio  che sembra abbandonare la sua forza selvaggia e diventare languido.
Con la “Lapa” (Motoape), ma la traduzione non le fa merito. La Lapa è la Lapa!
La Lapa costa 60 euro a salire e 60 a scendere. Comprende da 4 a 6 posti (stretti), è aperta ai lati e ventilata. E’ molto divertente. Sembra di trovarsi in una sorta di montagne russe, in uno di quei giochi che ti scekerano nei parchi di divertimento. Se non ti tieni dal predellino puoi schizzare fuori dall’abitacolo.
Ma io ho fatto la cosa più furba, ho scelto la terza possibilità:
“Il pulmino dell’Osservatorio”.
Sviata da un’amica (“Prendi il pulmino dell’osservatorio, con 5 euro sali e con 5 euro scendi. Conviene!”), mi affretto a telefonare al numero che mi viene dato per non perdere la preziosa opportunità. Al  telefono una  voce d’uomo molto gentile mi indica luogo e orario per salire all’Osservatorio. Con lui faccio pure la prenotazione alla pizzeria dell’Osservatorio. Fantastico! Non sembra neanche di trovarsi alle isole Eolie. Che professionalità!
Alle ore 21 mi reco all’appuntamento e vedo un furgoncino come quelli che trasportano il pane o i surgelati, quelli senza finestrini, per intenderci. Ne esce fuori un bel tipetto, (mio figlio lo chiamerebbe “un fattone”). E’ lui il nostro autista. Si riconferma l’impressione di gentilezza e anche una nascosta signorilità, tuttavia il suo look trasandato e  il suo modo di parlare strascicato e privo di tono, mi danno la sensazione che da un momento all’altro sia lui, piuttosto che il Vulcano, ad esplodere.
Lo sento parlare con un bambino che gli chiede da dove viene il suo pulmino.
“Dal Bangladesh – risponde – forse dall’Afghanistan. Gli son cadute le bombe addosso”.
Che si riferisca a sé medesimo? In effetti, autista e pulmino sono senz’altro un bel po’ “fattoni”. Ma non è tutto. Con la stessa gentilezza con cui si è rivolto al bambino, apre il portellone del furgoncino e ci invita ad entrare.
“Accomodatevi” – dice.
“Accomodarsi dove?!” – penso.
Il furgone-fattone manca dei sedili, al loro posto ci sono dei cuscini di gommapiuma a strisce verdi e bianche dismessi, sicuramente da qualche casa con patio. Per terra, nell’abitacolo, lanugine o corda sfilacciata (al buio non si distingueva).  La corsa ha inizio. Siamo in 6, stipati, chiusi, al buio, solo sporgendosi in avanti si può vedere uno squarcio di strada. A metà della corsa,  tiro fuori il mio ventaglio giallo e comincio a sventagliarmi mentre una nuance di panico mi viene incontro. Lo strapiombo ci accompagna per buona parte del percorso, ad ogni curva, presa a velocità sostenuta sennò il pulmino non ce  la fa, qualcuno ride, qualcuno deglutisce. Io maledico la mia amica (“5 euro. Conviene!”).
Arrivi all’Osservatorio che vuoi già scendere. Scombussolata per  come mi sentivo, l’idea di ingoiare una pizza o un piatto di spaghetti mi sembrava inconcepibile: l’avrei sicuramente vomitata nel viaggio di ritorno.

Proprio alle pendici del Vulcano sorge la pizzeria dell’Osservatorio. Lo scenario è fantastico. Non sembra vero. La scena è illuminata solo dalle candele che segnano i diversi tavoli e dalla sagoma del Vulcano che, nonostante sia buio, si staglia nel cielo della sera. E’ più nera del nero. Poi, punti luce di diversa grandezza : un’infinità di stelle.
Nonostante l’affollamento del luogo mi colpisce il silenzio e mi fa ricordare un viaggio in Africa, nell’altopiano dei Masai Mara. Si parlava a bassa voce, si camminava quasi in punta di piedi, rispettosi e adeguatamente impauriti dalla maestosità delle cose della natura.
Ma qualcosa, mi accorsi presto, non era come allora.
In ogni tavolo, imbandito a mo’ di trattoria, la presenza di macchine fotografiche, dalle più comuni (persino con i cellulari si fotografava il Vulcano!!) a quelle digitali, sofisticate con tanto di tele obiettivo che pareva voler forare, col suo becco intrusivo, l’immagine.
Puoi trovarci tutto il mondo lì, francesi, spagnoli, tedeschi, tutti col naso all’insù, verso il Vulcano, in attesa di vedere la prossima eruzione. Tra un boccone di spaghetti coi gamberetti di nassa e una braciolettina alla messinese…aspetti.
Ad intervalli irregolari puoi ammirare l’eruzione, a fungo, puoi distinguere il fumo dei gas, bianchi e violetti, che si alza producendo un’illusione ottica in cui il cono del Vulcano appare come sospeso, staccato dal corpo. Il gas si alza sospingendo in aria una fontana di scintille di fuoco che poi ricadono sui fianchi della montagna. Si distinguono bene i pezzi di lava che rotolano giù dopo aver trotterellato convinti in maniera scoordinata e scomposta, per poi fermare la loro corsa, come inspiegabilmente. Un boato accompagna il tutto,  a chiudere l’esibizione. Allora gli astanti sollevano la bocca dal pasto e, all’unisono, fanno un’esclamazione di stupore, corale, che a me risuona come una Ola collettiva, come quelle che puoi sentire allo stadio quando la tua squadra fa goal.
Dopo  circa mezz’ora mi sentivo inclusa in uno spazio virtuale che (paradosso!!) mi fa rimpiangere quando sballottavo dentro il pulmino-fattone. La sensazione provata in Africa scompare del tutto mentre se ne impone un’altra, spiacevole e lievemente alienante: sembriamo tutti davanti ad un grande schermo al plasma, spiamo il Vulcano come si spiano i personaggi del Grande Fratello o dell’Isola dei Famosi. Abbiamo trasformato, senza accorgercene, uno spettacolo della natura in un fenomeno da baraccone. Mancava solo che apparissero i gladiatori con le loro lance o i leoni intenti a sbranare i cristiani. Noi lì, con la stessa attesa.
Improvvisamente mi parve che la prospettiva e il senso delle cose si fossero invertiti. “Iddu”, il Vulcano, era chiamato a divertire il pubblico e così, eravamo riusciti a spogliarlo della sua imponenza e del suo mistero e, nel frattempo, anche noi eravamo diventati meno imponenti e misteriosi, anche meno dignitosi.
Non più pericoloso e temibile ma ridotto ad un erogatore di emozioni passeggere:  dopo il botto, l’Ola e giù un altro boccone di spaghetti con le vongole e un sorso di birra ghiacciata, e poi di nuovo, l’Ola, una patatina col checkup, l’avida attesa voi eristica, e via così.

Non vorrei essere pesante, ma mi faccio delle domande.
E’ giusto che si monti una pizzeria in un luogo così? Poteva realizzarsi  piuttosto un’area protetta, una riserva naturale? Non per andare contro gli interessi imprenditoriali degli strombolani, anzi, ben venga, però mi chiedo se, in questo modo,  non si “vizi” la mente spingendola verso luoghi-altri in cui non può riconoscersi più, in cui si confonde il valore delle cose fino a perderlo del tutto e ogni cosa può poi diventare banale e il modo di pensare, superficiale.
Non scada d’intensità ciò che per natura è Sommo.
E’ possibile che la mente scivoli ben volentieri e senza ripensamenti, o i ripensamenti siano pigri e indolenti, in tali stati di torpore e in tale capacità di ignorarsi?
Occorre una manutenzione della mente, dei  valori, dei significati delle cose.
Manuteniamo il primario, non sostituiamolo bensì impegniamoci a rimodulare l’arcaico con l’avvicendamento di un’esperienzialità che non si ponga in modo aggressivo, prepotente, tanto da sfigurare letteralmente, fino a renderle irriconoscibili, le piattaforme iniziali da cui si parte.
L’orientamento non può prescindere dall’Origine.

                                                                                                            DL