Breve riflessione sull’opera di B. Samperi
“Mi sono pignorato il cuore per amore,
un demone e un dio, esattori da sempre,
si contendono l’oggetto.
Mi salva un moscerino che li infastidisce.
Ripasseranno dopo”. B.Samperi
Quando Samperi mi recitò questa poesia rimasi molto colpita. Avevo già pensato, guardando le sue tele, a “l’ombra dell’oggetto che ricade sull’Io”, (di freudiana memoria) e adesso, con la sua prosa, lui esprimeva con tanta chiarezza quello che dai suoi dipinti si intuisce. Nelle sue tele Samperi sembra rendere esplicito il significato della nota frase che appare nell’opera freudiana del 1915 “Lutto e malinconia” in cui Freud descrive il peso della “perdita” nel funzionamento psichico e la sua correlazione con la depressione e la malinconia: “l’ombra dell’oggetto si abbatte sull’Io”. Frase tanto suggestiva quanto concreta che rappresenta un caposaldo nella comprensione dell’organizzazione del dolore nella vita dell’individuo e come dalla risoluzione del conflitto intrapsichico dipenda la considerazione che avremo di noi stessi e del mondo. Freud scrive: “All’inizio ebbe luogo una scelta oggettuale, un vincolamento della libido a una determinata persona; poi, a causa di una reale mortificazione o di una delusione subita dalla persona amata, questa relazione oggettuale fu gravemente turbata. (…) L’investimento oggettuale si dimostrò scarsamente resistente e fu sospeso, ma la libido divenuta libera non fu spostata su un altro oggetto, bensì riportata nell’Io. Qui non trovò però un impiego qualsiasi, ma fu utilizzata per instaurare un’identificazione dell’Io con l’oggetto abbandonato. L’ombra dell’oggetto cadde così sull’Io che d’ora in avanti potè essere giudicato (…) come l’oggetto abbandonato. In questo modo la perdita dell’oggetto si era trasformata in una perdita dell’Io”. (Freud. “Lutto e melanconia”.1915)
La bellezza delle opere di Samperi stà, a mio avviso, nel dipingere il conflitto intrapsichico che c’è in ogni individuo, di più, nel sottolineare, senza volerlo, una componente melanconica presente laddove esiste un oggetto d’amore abbandonato, “oggetto” attorno al quale si è sviluppata una lotta interna all’ultimo sangue tra salvarlo o distruggerlo, amarlo o odiarlo, farlo vivere o condannarlo a morte, trattarlo sadicamente o premurosamente prendersene cura.
Quale il destino dell’oggetto d’amore internalizzato? Quanto l’energia dell’odio, indirizzata sull’oggetto interno, lo può danneggiare e, nello stesso tempo, rendere viva la forza del nostro amore per lui? Paradossalmente la fine dell’oggetto internalizzato è inestricabilmente connessa al desiderio di tenerlo in vita.
La perdita a questo punto, risulta una conseguenza, non tanto del mantenimento dell’oggetto ma del desiderio del mantenimento. La poesia di Samperi riportata nel frontespizio sembra essere la traduzione in parola del “segno” artistico sulle sue tele, è una verbalizzazione, aiuta a chiarire il significato
nascosto nei dipinti, vuoi che siano astratte macchie d’inchiostro, vuoi che si tratti di oggetti concreti. Meritano senz’altro una riflessione le parole poetiche dell’artista. Tenterò di farla ad alta voce sulla spinta di quello che mi hanno suscitato.
Il termine “Pignorare” fa pensare a qualcosa che si è dovuta dare, cedere senza volerlo, costretti, e contiene una dimensione dolorosa di perdita che l’ingiustizia rende sublime. Rimanda ad un legame con qualcosa che, continuamente attaccato, non si può mantenere, sebbene (e forse proprio per questo), non vi si può rinunciare. Ci si domanda quale tipo d’amore può essere quello che “pignora” il cuore, certamente un amore a cui non si può dire di no, e che verosimilmente riguarda la dimensione dell’”esistente”, dell’esistere e che ruota attorno all’oggetto interno e al suo destino; dal quale dipende la nostra visione sentimentale delle cose del mondo e di noi stessi nel mondo, la percezione emozionale e, alla fine, le nostre aspettative, la capacità di fare progetti, l’ampiezza o il restringimento della nostra mente, la capacità di sperare o la volontà di morire o di essere morti.
Una forza ancora più sorprendente la si trova nelle parole del verso che segue (“un demone e un dio, esattori da sempre”). Queste parole escono fuori, pur provenendo dalla frase di prima e ad essa riallacciandosi, come uno schianto. In questo modo sembra che l’artista presenti i personaggi interni e la loro pari energia. C’è qui la dimensione della forza pulsionale che si abbatte sull’oggetto d’amore, vituperandolo o esaltandolo.
L’odio, i sentimenti aggressivi, anali, cannibalici, diabolici (“un demone”) e quelli sacri, amorosi, ma anche superegoici, la legge, l’ordine, la regola (“un dio”), si “contendono l’oggetto”, ed è qui che ha inizio la lotta interna tra il bene e il male, l’odio e l’amore, riferiti ad un oggetto interno che appare straziato dal conflitto (“mi sono pignorato il cuore”). Questa condizione invisibile sembra racchiudere quel senso di struggimento che proviene dalle tele di Samperi, quello sconforto ineluttabile e, insieme, quell’elemento di speranza, a volte di piètas, che viene mirabilmente rappresentato con quei tocchi di lieve luminosità nascente oltre le fronde di un bosco, o in un melograno in ombra, come dimenticato su di un tavolaccio, che tuttavia si schiude sorprendentemente mostrando chicchi fulgidi, rosso cobalto o in un fascio di luce inaspettata che colpisce una piccola pesca marcia o una mela sbocconcellata e dopo abbandonata; dolore e fiducia, perdita e riparazione, l’abissale sconforto delle “agonie primitive” e la gioia primaria, sentimento unico e spesso irraggiungibile, che solo il contatto con l’oggetto perduto e finalmente ritrovato può far provare.
La scelta della parola “Il moscerino” non è casuale. Indica qualcosa di poco visibile ma anche di impersistente, una debole forza: “un moscerino” non può sconfiggere il conflitto lo può solo infastidire, prendere tempo, creare una distrazione, è il significante di un’area dissociativa che interviene in aiuto quando la tensione interna è troppo elevata da sopportare, è una semplice parentesi, non risolutiva, spesso illusoria: gli “esattori …ripasseranno dopo”.
Chi estima le opere di Samperi “legge” qualcosa che già conosce, poiché guarda ciò che già è in lui e che altrimenti non saprebbe dire…e forse per questo che risulta irresistibile l’impulso di “avere” un quadro di Samperi appeso nelle nostre pareti e poi un altro e un altro ancora come se questo ci consentisse di ricordare il nostro dolore e la nostra speranza, soppressi ma sempre attualizzabili.
Non si può che ringraziare l’Artista che tanto generosamente ci aiuta a pensare e ci riconduce al nostro segreto.
Donatella Lisciotto