Il nascondino del nascondiglio
Luogo che parla il nascondiglio, conosciuto e riconosciuto da tutti, proprietà collettiva e più che mai proprietà privata.
Era Cordoba, una domenica delle palme invasa dai passi religiosi e rumorosi delle processioni, dal sole andaluso che rincorre chiunque, che non lascia ombra.
Giocava a nascondino, cercava rifugio, cercava uno spazio sicuro, mimetizzandosi tra la folla,
giocava ad essere scoperto, dai suoi amici, non da una macchina fotografica… Lo sorprendo. Il suo sguardo sembra dirmi che “non vale”, che quello era il suo nascondiglio, la sua proprietà, l’angolo che aveva scelto e del quale era custode e custodito, non potevo farlo mio, non senza il suo permesso. Mi fa pensare alla paura, diffusa tra alcuni popoli latinoamericani, che una macchina fotografica possa rubare l’anima. Il nascondiglio sembra essere prezioso e necessario come e quanto l’anima, per tutti, non solo per i bambini.
Osservo di nuovo la foto, dopo avermi rimproverato adesso sembra chiedermi in modo complice di non dire a nessuno dove si è nascosto, mi chiede di rispettare il suo segreto, adesso che l’ho scoperto divento automaticamente garante silente del suo nascondiglio, non devo e non posso fare la spia.
Ognuno serba dentro sé un luogo riservato al segreto, può essere scelto accuratamente o assegnato a caso da una qualche parte dell’identità, colorato o in bianco e nero, stretto o spazioso, scovabile o introvabile, dicibile o indicibile, conscio o inconscio, ma sempre presente, fondamentale.
Il nascondiglio si può incontrare in ogni fase della vita ed è parte di contenitori che di solito
identifichiamo con altri nomi: il grembo materno, la coperta che riscalda e ripara, il gioco, le prime bugie.
Il nascondiglio è una speranza per chiunque: per chi decide di mentire sull’età usando un nuovo fondotinta per cancellare le rughe, per chi butta dentro il confessionale (senza che nessuno possa vederli) i peccati irrinunciabili che “non” avrebbe voluto commettere , per chi ritrova nell’analisi uno spazio intoccabile e intimo, dove i segreti si possono aprire e visitare, per l’adolescente che chiude la porta a chiave marcando il suo territorio.
Senza saperlo scegliamo continuamente un nascondiglio sicuro per le fragilità in pericolo, per ogni sfumatura solo nostra, per ogni negazione o negoziazione necessaria. E quando non troviamo il nascondiglio giusto ci pensa l’inconscio, ne disegna uno invisibile e ce lo ripropone ad ogni sogno, con dentro tutto ciò che non può confinare con la quotidianità né con le relazioni.
Ma a volte i nostri nascondigli ci mangiano, si mutano in grotte claustrofobiche, limitano i desideri, assecondano i timori, ci mettono una maschera e ci assorbono. Winnicott diceva che “è fondamentale nascondersi, ma è terribile non essere scoperti” e quando non ci scopriamo da soli o non ci scopre chi vorremmo lo facesse, diventiamo prigionieri del nascondiglio e finiamo per abituarci a giocare a nascondino con noi stessi, come capita airagazzi che in Giappone vengono chiamati hikikomori, che si recludono volontariamente nelle loro stanze per anni e anni, evitando ogni possibile contatto con un mondo non-nascosto e quindi non-sicuro.
Certe volte le stanze non si vedono ma ci sono lo stesso e le si usa per metterci dentro pensieri o parti di noi incomunicabili o non pensabili. Il diniego fa così, raccoglie tutto ciò che non digeriamo e lo mette in una stanza dove c’è posto per nascondere e se qualcuno prova ad aprire la porta, lui la chiude ancora prima che cigoli. Ma forse quando si stanca di giocare a nascondino il nascondiglio si rivela e si mette a parlare? “Il segreto costituisce uno spazio potenziale in cui l’assenza prende la forma di una sorta di animazione sospesa. […] Così il segreto implica la speranza che un giorno si possa venirne fuori, che qualcuno ci troverà e ci parlerà, e così potremo tornare a essere persone intere, che vivono insieme agli altri.” (Khan).
Quando ho scattato la foto, ormai qualche anno fa, l’ho intitolata “morale e impulsi”: un bambino che si nasconde davanti al portone di una chiesa, un portone chiuso, mi sembra di averlo scoperto nei suoi più intimi desideri, quelli di un Es ancora vergine di fronte al Superlo potente di una domenica delle palme nella cattolica Cordoba.
Mi dico: meno male che l’ho scoperto il suo nascondiglio, il suo luogo che parla di desideri
necessari…
Perdersi e nuotare nei nostri mari segreti… i segreti piaceri del claustrum…una vita stagnante, senza relazione piena con l’altro e in fin dei conti nemmeno con il se stesso creativo…come il custode di un museo che sorveglia la creatività altrui e non lascia mai il suo edificio….poi un giorno un elemento scintillante e via via qualcuno più numeroso…ma come hai fatto a trovarmi? Ero nascosto così bene! Ti voglio molto bene!