In particolari condizioni atmosferiche nello Stretto di Messina (e non solo) si verifica un affascinante fenomeno atmosferico chiamato Fata Morgana. In giorni di intensa limpidezza per la rifrazione della luce solare, dovuta all’aria rarefatta, le goccioline d’acqua fanno da lente di ingrandimento, dando l’impressione all’osservatore che le strade, le case e persino le persone si possano quasi toccare. A questo fenomeno ottico sono legate due leggende.
La prima leggenda narra che Morgana, allo scopo di liberare la Sicilia dalla tirannia araba, chiese l’aiuto di Ruggero il Normanno, che risiedeva dall’altra parte dello stretto. Per convincerlo, uscì dal suo castello di cristallo, costruito nella profondità del mare, e gli mostrò la terra sicula incredibilmente vicina… Ruggero rifiutò, da cattolico credente, per conquistare la Sicilia l’anno successivo (1061) in nome della Vergine Maria.
La seconda, ampiamente diffusa, narra che il Re barbaro si domandava come raggiungere e conquistare la Sicilia trovandosi sprovvisto di imbarcazioni. All’improvviso apparve sul mare una splendida fanciulla che offrì l’isola al conquistatore e la fece apparire a due passi da lui. Guardando l’acqua vedeva nitidi i monti dell’isola, le spiagge, le vie di campagna e le navi del porto, come se potesse toccarli con mano. Nell’esultazione non esitò a balzare giù dal suo destriero, sicuro di poter raggiungere la riva in poche bracciate, ma l’incanto si spezzò e affogò miseramente (1).
L’immagine riflessa ingannatrice e mortifera ricorre anche nel Mito di Narciso. Il bellissimo fanciullo costretto dalla dea Nemesi (vendetta) a pagare la sua incapacità di amare, dimostrata nel rifiuto dei corteggiamenti e delle attenzioni di giovani di ambo i sessi che si innamoravano di lui. Egli, vedendosi riflesso nell’acqua per la prima volta, si innamorò perdutamente della sua immagine, ma logorato dall’impossibilità di raggiungere l’oggetto del suo amore si trafisse conficcandosi una spada nel cuore.
Narciso era figlio di una ninfa violata, una fanciulla svilita ed una madre eterea in cui non aveva avuto la possibilità di riconoscersi. E’ negli occhi della madre che il bambino si specchia per la prima volta, provando la sensazione fondamentale di esistere: lo sguardo materno restituisce al bambino il riconoscimento, l’identità. Narciso, specchiandosi tardivamente nell’acqua, elemento che ricorda la madre, si perde nello struggimento dell’inafferrabilità della propria immagine. Porta il nome del fiore che intorpidisce, affascina e ipnotizza, ma non ama, perché non si percepisce né si riconosce nell’immagine riflessa. Quello che vede è altro da sé, un riflesso che non gli restituisce la sua identità (2).
Ancora nel Mito di Antedipo, ideato da Recamier, ricorre il simbolo dello specchio d’acqua. Poiché un indovino aveva predetto il terribile destino del bambino se si fosse rivelata la sua vera origine egli viveva senza poter parlare con nessuno e la regina, sua madre, aveva dettato per legge che gli abitanti non dovevano considerare alcuna verità come tale. Così gli abitanti del regno impararono a conversare in modo tale che quello che dicevano, se vero, potesse essere interscambiabile con assurdità. Si diceva infatti che fosse figlio di Zeus, ma che lo fosse anche la regina, sua madre. Il paradosso è che affermavano il vero per far sì che tale racconto si credesse falso. Pare infatti che la donna avesse un solo occhio, perché l’altro era stato tramutato in fontana; Zeus sottoforma di pioggia si era unito alla fontana e quindi alla donna, fecondandola e generando Antedipo.
“Questa particolare fontana, considerata l’occhio della fecondazione, non rifletteva nessuna immagine, risucchiava e divorava chiunque tentasse di specchiarsi, mentre i malcapitati avventori erano trasformati in contenitori vuoti, che erravano senza più meta. Solo Atedipo poteva specchiarvisi e dopo una temporanea assenza, emergeva dalla fonte in uno stato d’estasi.”
Quando ormai nel regno sembrava lontana la verità, improvvisamente fece ritorno l’indovino e svelò che il destino di Antedipo era quello di essere nato da se stesso, di essere perciò padre di se stesso e di non venire mai a saperlo.
In questo mito l’occhio materno (la fontana) non riflette il figlio per restituirgli un immagine integra di sé, ma lo risucchia e lo fonde, non permettendo la differenziazione della sua identità, come nella coppia psicotica.
Anche Lacane,si è soffermato sullo Stadio dello specchio come formatore della funzione dell’io. Questa fase rappresenta la matrice di ciò che sarà l’Io: nello specchiarsi il bambino si percepisce gioiosamente in maniera unitaria e ciò consente una prima individuazione. L’immagine riflessa ha una funzione costituente: è una genesi speculare dell’Io (3).
In conclusione, la funzione dell’immagine riflessa e dello specchio è quella assunta dall’analista nel percorso terapeutico, che consente al soggetto di riconoscere gradualmente in un immagine unitaria il proprio sé. In questo gioco di specchi, Narciso avrebbe la possibilità di riconoscere che l’immagine riflessa è la propria e Antedipo avrebbe potuto dubitare e giungere alla conoscenza delle proprie origini e della propria identità.
Note
1. Chiricosta G., Passio M. (2011). Il fenomeno della Fata Morgana a Messina: tra Mito e Scienza.
2. Carlino R. (2012). Narciso allo specchio: distorsioni e turbamenti della psiche.
3. Lacane J. (1949). Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’io.