Le mani
Le mani, uno e due
Era una bella signora con capelli bianchi e rughe di sorriso, la nonna
ideale. Non una nonna pubblicitaria, anzi era proprio vera, presente,
conversava con una sua deliziosa bisnipote di tre anni, con grandi
occhi aperti alla curiosità, le fossette di sorriso, tutta la sua
bisnonna, ovviamente senza neanche una ruga. La signora Elsa,
incorniciata da leggeri capelli non trattati con tinture o altri
artifici, senza distogliere l’attenzione dalla nipotina, continuava
nel suo lavoro all’uncinetto.
Era tempo di vacanze, si stava bene nello Sporthotel in val di Fassa.
I clienti non si preoccupavano di questo nome, che sembrava imporre
allenamenti, arrampicate e scialpinismo. Forse qualche straniero ligio
lo prendeva in parola. Gli italiani si godevano il riposo, l’aria
della Marmolada e del Sella, che la sera diventava fredda, le
passeggiate tranquille per la val Duron e il Catinaccio. Nativi,
turisti, gracchi, marmotte; ogni animale conservava una manciata di
parole in ladino fassano, ogni anno un po’ meno.
Testimone silenzioso ero io, giovane medico, che avevo celato a tutti
la mia professione, soprattutto la specializzazione in
neuropsichiatria, per evitare conversazioni che diventavano lavoro
straordinario. Però ascoltavo.
“Hai visto i fiori oggi?” chiese la signora Elsa.
“Uno, due. Uno ‘osso e uno blu” disse la bimba aiutandosi molto nella
descrizione dei colori con gli occhi parlanti e con uno o due ditini
per la contabilità.
“E anche qualche animale?” s’informò la nonna, forse pensando a
scoiattoli o merli.
“Sìiii, cane e mucca.” La nonna non mostrò alcuna delusione e si
adeguò immediatamente alla traccia domestica.
“Cosa ti ha detto il cane?”
“Non parla il cane.”
“Però fa bù.”
“Fa bù, non parla.” Come tutti i bambini anche la piccola Caterina era
pragmatica e, solo quando ne aveva voglia, chiedeva e ascoltava e
raccontava come reali le fantasie di fate. –
“Oggi cos’hai mangiato?” proseguì la nonna, portando la conversazione
su un terreno più condiviso.
“Polpette e patatine” mentì la piccola, che era reduce da una quasi
tragedia causata dai canederli (gnocconi tirolesi), che aveva
tenacemente rifiutato di assaggiare. Chiaro che la nonna aveva visto,
sentito tutto, ma capiva che la conversazione era saltata sulla
barchetta dei desideri e anche così poteva giovare a riparare i
piccoli guasti quotidiani e magari evitare future barche dei folli,
Narrenschiff dicevano un po’ più a nord, qualche chilometro.
“Con la salsa Rubra?” (che decenni dopo sarebbe stata degradata a ketchup).
“No. Con l’aranciata.” Seguì un breve silenzio, occupato dalla bimba a
studiare attentamente il lavoro della nonna.
“Cosa fai col filo?”
“Lavoro per fare un centrino.”
“E’ un lavoro lungo?”
“Eh, sì.”
“Quello cos’è?” volle sapere la bimba indicando l’asticella metallica
col gancetto.
“Questo è l’uncinetto.” Seguì un silenzio di ragionamento deduttivo,
poi l’estensione di due ditini.
“E con due cinetti, fai prima?”
Alberto Schon