REPORT 26/06/2020
Il webinar “San Giorgio e il Drago”; ha lasciato nel gruppo molte suggestioni. Una tra queste è l’analogia tra seduta psicoanalitica-confessione e prete-analista, soffermandosi sull’etimologia della parola “terapeuta” (in greco “medico” – per estensione, anche dell’anima). Da qui la similitudine con la figura del prete. Tuttavia, si deve cogliere la differenza tra le due figure: il prete è colui che funge da intermediario tra Dio e il peccatore, mentre la seduta psicoanalitica vede analista e paziente collaborare attivamente.
Il confronto in seno al gruppo risulta essere un ottimo strumento di conoscenza poiché dà modo di riflettere, di allargare gli orizzonti, di aprirci ad una prospettiva diversa, di “toccare” argomenti considerati oggigiorno “intoccabili” come quello della religione. Ed è qui che sorge il primo quesito: “È forse l’educazione impartitaci dall’insegnamento cristiano a renderci ciechi di fronte a degli aspetti visibili? O forse è il non voler vedere le cose in una luce più chiara?”.
Può risultare fuorviante paragonare la confessione con la seduta psicoanalitica. Il paziente è colui che deve essere accolto nella sua autenticità, non è un Cristo caduto dalla croce, anche perché questo significherebbe esaltare il malato, vederlo come un mito, un re senza corona. Accostare questi due ambiti, dunque, è rischioso: di fatto, comporterebbe ritenere il paziente un peccatore e l’analista il prete che assolve dal peccato. Ma lo scopo della psicoanalisi non è questo, ed è importante che la psicoanalisi non si ammali di narcisismo; nell’analisi il paziente non si redime: piuttosto, va incontro ad un processo di trasformazione, non sempre raggiunta. Egli sceglie di fare questo percorso perché non sta bene, è confuso e vuol capire qualcosa di sé e l’analista è, in tal senso, la persona che gli parla come se parlasse a se stesso nel momento di difficoltà. Quindi, attraverso l’analisi viene raggiunta una consapevolezza della propria organizzazione interna.
Le religioni sono numerose quanto diffuse, il concetto che sta alla base della psicoanalisi è uno, e cioè la centralità dell’umano.
«La psicanalisi in sé stessa non è né religiosa né irreligiosa, bensì uno strumento imparziale di cui può servirsi sia il religioso che il laico, purché venga usato per liberare l’uomo dalle sofferenze. Sono rimasto molto colpito nel rendermi conto che non avevo pensato all’aiuto straordinario che il metodo psicoanalitico può fornire alla cura delle anime, ma questo è certo successo perché un malvagio eretico come me è troppo lontano da questa sfera d’idee», scrive Freud nella Lettera a Oskar Pfeister (9 febbraio 1909, Epistolari di Sigmund Freud. Psicoanalisi e fede).
Anche Freud pensa sia lecito dunque pensare alla Psicoanalisi come cura dell’anima, ma con le dovute distanze da quella che è la religione che ha tutt’altro scopo. La religione è descritta da Freud come un’”illusione”, ma non come un “errore”. Egli parla di errore nato, ad esempio, da un’affermazione errata, un’ipotesi scientifica smentita.
Per illusione invece, intende quell’affermazione nata dalla proiezione di un profondo desiderio, che non è impossibile, ma sicuramente improbabile. Così la religione sarebbe un’illusione dell’umanità alla ricerca di un “padre” per esorcizzare il terrore delle forze naturali, riconciliare l’uomo al fato; una consolazione per le sofferenze dovute alla sottomissione della civilizzazione.
Nel pensiero di Freud, la religione non è altro che un ripetersi delle nostre esperienze d’infanzia.
Davanti alle forze che lo minacciano, l’adulto si comporta come ha imparato a comportarsi da bambino quando aveva paura e trovava conforto nella figura ammirata e temuta del padre.
La psicoanalisi invece è un’indagine dell’anima. Il termine «Analisi» è formato dalla preposizione greca ana-, che significa “in parti uguali”, e -lisi, che significa “sciogliere”. La terapia si rivela dunque una rielaborazione ed integrazione delle dinamiche conflittuali intrapsichiche per ristrutturarne l’equilibrio e ridurre la sintomatologia correlata.
Lo stesso Freud sostenne drasticamente che la psicoanalisi si basava <<su un’universale concezione scientifica del mondo, con la quale quella religiosa resta incompatibile>>. Nei suoi scritti più noti, Azioni ossessive e pratiche religiose (1907),Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci(1910), Totem e Tabù (1912-1913) e, specialmente, L’avvenire di un’illusione (1927) e L’uomo Mosè e la religione monoteistica: tre saggi (1934-1938), definì la religione «come la risultante fenomenica collettiva di una nevrosi ossessiva, basata sul bisogno fondamentale degli esseri umani di trovare conforto, limite e consolazione in una relazione fantastica con un equivalente genitoriale, conservando una inconsapevole dipendenza infantile interiore nei confronti di tale genitore idealizzato». Ma la religione così come la psicoanalisi «costituiscono delle teorie sulla vita e delle visioni del mondo: la religione più dogmatica e fondata su assunti, la psicoanalisi più empirica, più elaborata e più vicina al vero Sé. Entrambe aiutano l’uomo a difendersi da una realtà che rimane pur sempre imperscrutabile, e di trovare una forma di rassegnazione alle delusioni».
È interessante osservare come nella Psicoanalisi e nel Cristianesimo avvenga un passaggio di informazioni malformate. La “malformazione” nasce da equivoci, dagli inganni, dal sentirsi traditi nell’essenza della verità, essa produce una mal informazione di cui è piena la cronaca. Il Cristianesimo ad esempio è stato, in questi 2000 anni di storia, attraversato da numerosi fraintendimenti e “male- interpretazioni”. In molti (troppi) casi sono stati apertamente sovvertiti gli stessi insegnamenti di Cristo. Tale “mal-formazione” è possibile constatarla soprattutto quando si parla del peccato e della condizione del peccatore. Nell’immaginario collettivo facciamo peccato quando commettiamo un’azione che va “contro la legge”, ossia contro qualcosa stabilita da qualcuno che dice come dobbiamo comportarci, cosa pensare, come parlare e così via. Etimologicamente, il peccato evoca l’immaginario di una freccia che non raggiunge il bersaglio. Quando Cristo parla del peccato si riferisce all’allontanamento dalla volontà di Dio, e quindi alla mancata realizzazione delle proprie potenzialità, aspirazioni, desideri. Il vero peccato è dunque un’interruzione nella strada verso la propria individuazione. La figura del peccatore ha, di conseguenza, subito una mal-formazione che l’ha trasformata in una persona che, macchiata di una colpa nei confronti del suo Signore – che quindi deve punirla – si ritrova in una posizione di inferiorità contro la quale sono legittimati la critica e il giudizio (atteggiamenti condannati più volte dallo stesso Gesù, il quale ad esempio in Mc 7,3-5 afferma: Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accori della trave che è nel tuo occhio? O come dirai al tuo fratello: «lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio», mentre nel tuo occhio c’è la trave? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello) e, naturalmente, una doverosa “opera di redenzione”. La storia purtroppo è piena, ad esempio, di massacri e spedizioni punitive verso intere popolazioni, come quelle native americane, perché non si sottomettevano alla volontà dei conquistatori, i quali, in nome di Dio, si arrogavano il diritto di decidere della vita e della libertà dell’altro.
Ogni significato però può essere soggetto a un fraintendimento. Disinformazione si intende la carenza, o la grave inesattezza di un’informazione la quale può avere una precisa volontà fuorviante, oppure no. In entrambi questi casi la disinformazione può essere pericolosa, in quando porta l’individuo a commettere diversi errori che hanno poi esito negativo. La cattiva informazione invece è una conseguenza della Disinformazione: Tutto parte infatti da una mancanza di conoscenze, le quali si vanno a sommare con altre informazioni pervenute, le quali possono essere a loro volta parziali o errate. L’individuo al fine di colmare le lacune che ne derivano elabora delle teorie proprie mischiandole a ciò ha sentito dire, ma anche proiettando in queste alcuni aspetti del proprio mondo interno come sentimenti e paure. Ciò che ne deriva è un nuovo elaborato che viene a sua volta divulgato ad altri individui. Infatti la Disinformazione è una “Mal-formazione” proprio perché viene costruita e si arricchisce pian piano. Da questo discorso viene in mente il gioco di società infantile del “Telefono senza fili”, in cui partecipanti si dispongono in fila bisbigliando una parola o una frase all’orecchio del proprio vicino. Questi deve ripetere la stessa parola o frase al giocatore successivo e così via fino all’ultimo della fila, il quale ripeterà la frase ad alta voce. Il “telefono senza fili” può essere una metafora di come spesso la divulgazione delle informazioni non avviene in maniera corretta, e di come un messaggio può essere modificato a causa di un errore cumulativo. Questo è un esempio di come la cattiva informazione si vada a propagare da un individuo all’altro un po’ come un virus, andando poi a creare pregiudizi e preconcetti.
Ai tempi d’oggi la divulgazione delle informazioni avviene molto più velocemente che nei tempi passati. Un tempo avveniva mediante il passaparola, mentre adesso questa è stata accelerata dall’avvento dei Social Network, come Facebook, Twitter ed Instagram, i quali vengono considerati come il maggiore “strumento” di divulgazione delle cosidette Fake News. Una volta il compito di fare informazione era soltanto appannaggio dei telegiornali e delle riviste, ma anche da parte della politica. Adesso chiunque proprio grazie ai Social network, possedendo uno spazio proprio in cui può divulgare informazioni, scrive messaggi non sempre a contenuto genuino. Ciò avviene a causa di tre motivi: la disinformazione, la quale – come abbiamo detto – nasce e si riproduce da se stessa; il livello culturale della popolazione che è andato sempre più ad abbassarsi nel corso delle generazioni; infine, la mancata consapevolezza da parte dell’individuo dell’importanza delle parole.
Occorre che la psicoanalisi, così come la religione, si allontanino dalle (avvenute o potenziali) mal-formazioni e recuperino il loro senso originario, in cui la “verità” (ciò che per Bion è “O”, la realtà ultima) non sia qualcosa di statico e definito, né di unilateralmente posseduto e gestito, ma “ciò che evolve”, il “non concluso”, dotato di un potere trasformativo. Questo ci pone davanti ad una consapevolezza: spesso abbiamo paura non solo dello spaventoso ma anche del meraviglioso, non solo dei nostri mostri ma anche delle nostre parti più creative; il senso di un percorso psicoanalitico è proprio quello di (ri)metterci a contatto con la vasta gamma delle nostre potenzialità, consentire l’integrazione delle nostre parti oscure e la piena espressione di quelle più luminose.
Un altro discorso riguarda invece coloro che distorcono le informazioni con consapevolezza al fine di portare acqua al proprio mulino. Questo possiamo vederlo in una certa politica odierna. Essa sfrutta la disinformazione al fine di ottenere crediti e consensi, generando così altra disinformazione e danni alla popolazione e dello Stato italiano, utilizzando anche i strumenti multimediali come Social Network, Televisione e Radio.
Un altro punto sul quale si è dibattuto, che riguarda sempre la comunicazione, è l’utilizzo della figura retorica della Metafora. La Metafora è uno strumento che facilita sicuramente la comunicazione in quando permette alla mente di arrivare alla comprensione facendo raffronti con situazioni che presentano caratteristiche simili (magari più conosciute per il soggetto), ma l’emittente deve comunque accertarsi che il ricevente abbia compreso in maniera corretta il messaggio. La Metafora potrebbe facilitare la comunicazione nelle situazioni di maggiore sintonia, in cui magari l’ascoltatore ha lo stesso tipo di formazione dell’emittente, ma dove questo viene a mancare ci può essere conseguentemente un ostacolo alla comprensione. L’effettiva comunicazione di un messaggio nella sua correttezza e genuinità dipende quindi dalla capacità dell’emittente di farsi capire mettendosi nei panni dell’altro. Tale capacità fa parte della cosiddetta Intelligenza emotiva, che permette all’individuo di riconoscere i sentimenti e le emozioni altrui e gestire il proprio comportamento e le proprie emozioni di conseguenza.
Valeria Rizzo, Valeria Luciano, Ivana Risitano, Davide Carmelo Magistro, Federica Vecchio, Laura Lo Turco, Daria Pisciotta, Barilà Marilena, Rizzo Vittoria, Chiara Destro, Adriana Giovenco, Bianca Maria Milazzo, Anna Anselmo.