Il tirocinio psicoanalitico al tempo del covid-19
Introduzione
Con l’arrivo dell’epidemia da Covid 19, l’8 marzo 2020 le lezioni del tirocinio al Vicolo Cicala proseguono via skype.
Quasi subito abbiamo avvertito che sarebbe stato inappropriato continuare l’attività didattica senza dedicare tempo alla riflessione di quello che stava accadendo vicino a noi e in modo così inaspettato. Incontrare gli studenti, in questo contesto è stata un’opportunità preziosa per riflettere sui cambiamenti interni che il fenomeno pandemico sta attivando e analizzarli insieme.
Gli articoli che seguono sono il risultato del lavoro svolto in gruppo durante il tirocinio e traggono spunto da quelle opere di Freud che danno una spiegazione psicoanalitica dei grandi mutamenti interni che seguono a fenomeni traumatici.
A partire da “Caducità” del 1915, abbiamo in seguito lavorato sul Perturbante (1919) e sul concetto di antinomie.
I vissuti che incalzano in questo difficile momento delle nostre vite, l’angoscia del vivere e del morire che attanaglia il mondo intero, rimandano infatti all’importanza della conoscenza e della consapevolezza della caducità delle cose, l’incontro con il familiare che improvvisamente diviene estraniante, mostruoso, l’oscillare tra vissuti intrapsichici e realtà esterne antinomiche.
“La limitazione della possibilità di godimento aumenta il suo pregio”- spiega Sigmund Freud – e con questo indica il pregio dell’incontro con la fragilità dell’individuo, con la sua capacitò di superare il lutto e di uscir fuori dalle perdite più forti e sicuri.
Il Laboratorio Psicoanalitico Vicolo Cicala ringrazia gli studenti che hanno contribuito a formare questo dossier.
Donatella Lisciotto
D.ssa Ivana Risitano - 'Trasformare la crisi'
Torneremo a ricostruire tutto ciò che la guerra ha distrutto, forse su un fondamento più solido e duraturo di prima”.
Queste sono le parole con cui Freud concludeva un suo breve scritto del 1915 (“Caducità”), su cui oggi ho avuto la possibilità di meditare.
In questi giorni in cui la didattica a distanza ha reso pervasiva la comunicazione con gli alunni, ho riflettuto su un’opportunità che questo momento drammatico mi sta dando: quella di far passare sullo sfondo programmi e voti, e far emergere cura individuale (dovremmo averla anche in classe, ma spesso non ci si arriva), spunti creativi, occasioni di riflessione su ciò che stiamo vivendo. Sono grata a chi oggi, nel contesto di un tirocinio via skype, ha dato anche a me e ai miei colleghi questa possibilità: non far finta di nulla, non andare avanti come se nulla fosse, ma entrare in contatto con il lutto di questo momento.
Lutto, sì: perché giorno dopo giorno, con una velocità che rende difficile digerirle e metabolizzarle, aumentano le prescrizioni e le limitazioni. E questo esser costretti a disinvestire attimo dopo attimo da ciò su cui prima investivamo cos’è, se non un lutto? E’ vero, probabilmente (si spera) queste cose non moriranno per sempre. Ma intanto, nell’incertezza senza tempo, nelle proiezioni impossibili su quando e come tutto questo finirà, noi, qui ed ora, viviamo lutti. Lutti non solo di cose grandi, ci diceva oggi la dottoressa: non solo affetti e abbracci, ma anche piccoli riti quotidiani, abitudini che davamo per scontate. “Siamo in guerra”, ci diceva, “una guerra che le nostre generazioni non hanno mai vissuto”.
E in questa guerra diffuso e senza forma è il senso di angoscia. Le paure si mischiano, vanno da quella grande della morte propria e dei propri cari (così come di una strage planetaria) a quella più meschine di una multa in caso di trasgressione, e sono unite a rabbia, ribellione, impotenza.
Le menti sono intasate, la comunicazione virtuale sostituisce quei brandelli di corporeo che fino a poche settimane fa aveva lasciato, la paura del vuoto ci spinge a riempire, talvolta a negare o rimuovere. Terrore e atmosfera catastrofica ci stanno facendo disinvestire anche da ideali e ideologie: come se alcune cose fossero rimandate, perché ora è tutta una grande emergenza. Sono limitate tutte le nostre libertà. E, cosa ancor più pericolosa perché non eclatante (e pericolosa nella misura in cui è lontana dalla consapevolezza: di contro, se compresa e metabolizzata, può diventare una risorsa) è in corso un’inversione della nostra organizzazione interna. Tutto sta cambiando, nella giornata di molti di noi, come individui e come collettività. Siamo sovraccarichi di informazioni sul Covid, che ci raggiungono da ogni dove e in ogni momento: ma ci concediamo lo spazio per sostare in ciò che questa tragedia sta provocando in termini di vissuti interiori?
Tra i due estremi di una chiusura nichilista e depressiva e di una reazione maniacale incapace di stare a contatto con l’angoscia e col vuoto, decine e decine di possibilità di trasformare questa crisi in qualcosa che abbia Senso.
Per Freud la limitazione del godimento dà ancor più valore al godimento stesso. E l’attraversamento del lutto è l’unico modo per elaborarlo.
Oggi la dottoressa ha usato una frase che mi ha colpita: “dare onore al nostro scombussolamento”: restare in ascolto della caducità nostra e delle cose, dismettere i deliri di onnipotenza e di controllo, cambiare i vecchi parametri, farsi provocare da quelli tra i nuovi che riteniamo buoni e scommettere di saperli reinnestare nella nostra vita quando tutto questo sarà finito.
Ci ho riflettuto molto, in queste ore: non volevo rassegnarmi, all’inizio; volevo salvare frammenti di “normalità”. Oggi invece penso che la via più ardua ma più sensata sia sbatterci la faccia dentro questo grumo immenso di angoscia, dentro questo lutto spezzettato che ci graffia l’anima. Penso che sentirsi fragili, impotenti, impauriti, angosciati, sia l’unico modo per entrare in Contatto pieno con questo momento, e che questa nuda autenticità sia l’unica via perché quest’esperienza sia visceralmente trasformativa.
Facevamo molte cose come automatismi. Ne trascuravamo altre dandole per scontate. Molte le facevamo senza gustarle appieno. Ci sentivamo onnipotenti, come singoli e come civiltà.
Non sono bastate le morti nel Mediterraneo. Non sono bastate le guerre criminali. Non è bastata la devastazione del pianeta Terra. Nulla ha messo in ginocchio la presunta onnipotenza del Sistema Occidentale, finché non è arrivato un microscopico virus, e tutto vacilla, tutto si ferma, tutto gela di terrore, tutto va ripensato.
Solo questa è la speranza: che se ne esca non basta: se ne deve uscire migliori di prima, perché tutto questo dolore abbia avuto senso.
D.ssa Chiara Destro - 'Trasmutazione perturbante'
Das Unheimliche è un aggettivo utilizzato da S. Freud per esprimere in ambito estetico una particolare attitudine del sentimento più generico della paura che si sviluppa nel momento in cui una situazione, una cosa o un fatto, vengono avvertite in contemporanea estranee e familiari generando angoscia e senso di estraneità.
Il perturbante è l’incapacità dell’uomo al giorno d’oggi di dare un volto a tutte le vittime del virus, e la sua unica capacità di individuarle esclusivamente sotto forma numerica. “Il primo significante è il nome” sostiene Lacan, nome che attualmente non riscuote il suo peso perché trasmuta in bollettini e grafici.
Perturbante è l’incompetenza delle scelte governative americane che considerano le armi come “beni di prima necessità” svelando gli istinti primitivi e animaleschi dell’umanità.
Perturbante sono le quattro mura.
“Questo perturbante (Unheimliche ) però è l’accesso all’antica patria (Heimat) dell’uomo, al luogo in cui ognuno ha dimorato un tempo e che è anzi la sua prima dimora.” (Il Perturbante, 1919)
“Casa”, parola abitualmente usata come metafora di sicurezza diviene come le ali di Dedalo una struttura instabile, che riscuote tutte le fragilità. Fragilità che si rivelano in particolare in quegli individui che non possiedono una psiche resistente alla distanza dagli affetti, alla reclusione e/o a una fase emergenziale. A chi vive in famiglie disfunzionali, a chi subisce abusi fisici e/o verbali. Ma anche semplicemente di chi vive in case di 40mq con tre persone o di chi vive da solo e ha come interlocutore diretto il proprio specchio. D’innanzi a un virus , perturbante, che ci impone di vivere distanti e di istanti, privandoci nettamente della nostra quotidianità, traspare un desiderio di rivincita, che si riscuote attraverso la scoperta di nuovi metodi di confronto, il tirocinio online, la lettura di un saggio, una canzone nuova. Nella lezione di oggi prevale la metafora di “Ercolino sempre in piedi”, che simboleggia il riconoscimento delle nostre fragilità ma in contempo la nostra resistenza nel cadere. Il nostro voler ancorarci alla realtà precedente o rinascere con nuove consapevolezze. E nella ricerca di una consapevolezza riscopriamo le numerose antinomie della condizione in cui viviamo col nuovo virus che si esprime attraverso la sensazione di soffocamento dovuta a una reclusione forzata ma in contempo alla necessità di essere intubati per un soffocamento reale, alla vitalità di chi non demorde davanti a bollettini particolarmente pessimistici e chi di questi bollettini ne fa parte; alla spietata mietitura umana da parte del miglior alleato della natura. Ne usciremo prima o poi, in ogni caso trasmutati.
” Noi sappiamo che il lutto, per doloroso che sia, si estingue spontaneamente. Se ha rinunciato a tutto ciò che è perduto, ciò significa che esso stesso si è consunto e allora la nostra libido è di nuovo libera (nella misura in cui siamo ancora giovani e vitali) di rimpiazzare gli oggetti perduti con nuovi oggetti, se possibile altrettanto o più preziosi ancora. C’è da sperare che le cosa non vadano diversamente per le perdite provocate da questa guerra. Una volta superato il lutto si scoprirà che la nostra alta considerazione dei beni della civiltà non ha sofferto per l’esperienza della loro precarietà. Torneremo a ricostruire tutto ciò che la guerra ha distrutto, forse su un fondamento più solido e duraturo di prima.” (Caducità, 1915)
D.ssa Debora Insinga - 'Il nuovo volto di Covid-19: la consapevolezza che spinge ad agire.'
Lo spiritualismo, questa unione con la Coscienza, è tra le cose che meno riesco a sopportare alle volte, perché mi sembrano prive di spiegazioni reali. L’uomo non è separato dalla natura, l’uomo è natura al pari di qualsiasi altro animale esistente. Il Coronavirus, come qualsiasi altro genere di intemperie, non credo sia un modo della natura per punirci. Nella storia sia romana che greca era necessario attribuire colpa delle punizioni da cui siamo afflitti, ma in questo momento non è più necessario aggrapparsi a dei o provvidenza. È risaputo che ogni specie è dannosa per un’altra e non sarà la tecnica che farà dell’uomo la specie più temibile dell’universo. La tecnica contro cui tanto si muovono critiche è stato l’unico sistema che ha permesso all’uomo di sopravvivere. È la sua evoluzione. L’idea di ‘scarto’, che tanto prende in considerazione la docente, non è più valida dall’avvento di Darwin.
Se i dinosauri non sono sopravvissuti non è perché sono stati scartati dalla natura, quanto perché la specie, nell’evoluzione, non ha saputo a sua volta rigenerarsi. La natura non punta il dito. Non punisce, non dà colpe. È l’uomo che tende a rifilare caratteristiche prettamente morali alla natura. Se l’uomo di Neanderthal non è sopravvissuto non è perché è stato scartato, quanto perché si è evoluto. Si pensa che l’uomo di Neanderthal non sia sparito, ma pare si sia ibridato con i Sapiens, quindi i figli e poi i figli dei figli, hanno modificato i loro tratti somatici, per cui si tratterebbe di una reale selezione sessuale.
Mai come in questo momento delle nostre vite mi viene da usare il pensiero filosofico di Nietzsche, quando ci ricorda che l’uomo ha sempre preferito la volontà del nulla che non avere volontà. Rendersi conto del fatto che le cose scompaiono e rinascono è una delle cose più complesse che l’uomo abbia mai dovuto cercare di spiegare, tanto che Nietzsche stesso chiamava la sua teoria dell’eterno ritorno una teoria abissale. Io credo che invece sia ragionevole e che vada nella stessa direzione di quello che cerca di trasmetterci Freud nello scritto “Caducità”. L’idea di caducità non è altro che quello che Nietzsche esprime attraverso il nichilismo rinunciatario dell’uomo. Quello che è morto per lui è morto per sempre. Tuttavia, ci si rende conto costantemente che nulla muore davvero e nulla muore per tutti. Quello che emerge da sempre è l’egocentrismo dell’uomo, sin da quando ha pensato che la Terra fosse al centro dell’universo. La perdita, il lutto, è sempre stata sperimentata in prima persona.
L’idea è quella di pensare una morfogenesi istintiva della natura. Nella natura si creano varie vie, varie tendenze tra cui alcune si interrompono e altre si sviluppano. Tutto questo per dire che nulla muore davvero se non nel piccolo dell’uomo. La caducità è propria dell’uomo, ma non delle cose.
E a questo proposito, qualora ci fossimo dimenticati della nostra mortalità, finitezza, del nostro essere quasi contingenti, fallibili, ecco che il Virus (perché forse passerà alla storia come l’unico ad essere stato in grado di distruggere intere fortezze mentali come mai nessuno prima d’ora), ce le ricorda, una per una, ogni giorno come se fossero torture diverse, degne di nuovi gironi dell’Inferno Dantesco. Ma il nostro peccato qual è? Esso ci costringe a meditare e a rimediare al nostro ormai carattere acquisito di consumatori compulsivi di vite e materiali.
Mentre osserviamo la nostra piccola clessidra dataci in dotazione alla nascita procedere con il suo “Panta rei”, mostrando cartelloni e post con su scritto “andrà tutto bene”, lamentandoci sulla libertà che ci è stata negata o su quale dolce preparare o addirittura su come gestire la nostra giornata tra le nostre quattro mura, non ci soffermiamo a dedicare nemmeno un reale pensiero a tutte quelle clessidre i cui granelli di sabbia sono sospesi tra la vita e la morte o a quelle clessidre già frantumate.
Il Perturbante per me è non conoscere il nome di tutte quelle clessidre. Come ci spiega Lacan il nome è il primo significante, ci dà un volto, una storia, è donare all’altro l’ “unicità” dell’essere riconosciuto. Quindi, ciò che mi angoscia di tutto quello che sta accadendo è non poter riconoscere l’altro e la sua sofferenza.
Ogni evento bello o brutto che sia ha una virtù nascosta; quindi direi di conferire a COVID-19 un volto, perché sta realmente cambiando le cose. Ogni evento ha il proprio carattere traumatico e Covid-19 sta producendo trasformazioni impercettibili nella vita di tutti noi che prima erano realmente impensabili. La virtù di Covid-19 risiede nel consegnarci nuovamente la realtà di ciò che può essere praticato, della possibilità di poter fare qualcosa di concreto per far sì che non rimanga esclusivamente la potenza distruttiva di un virus capace di inghiottire vite con un battito di ciglia.
Questo è un invito non solo alla consapevolezza che spero risieda in ognuno di noi, ma alla potenza dell’azione, alla presa in carico di responsabilità dalle quali non ci potremo sottrarre.
D.ssa M. Ilenia Destito - 'Caducità di Freud nella dimensione attuale.'
Ogni singolo individuo in questa realtà sta vivendo attimi e sentimenti confondenti, un’oscillare continuo tra stimolazioni ossessive provenienti dall’esterno e l’arresto, metaforico e concreto, della propria sfera d’azione. Questo è uno sconvolgimento, un ribaltamento alienante e nichilistico che coinvolge l’intera trama sociale. A mio avviso, è d’obbligo di fronte a certi fenomeni traumatici, mettere in luce le difficoltà, non ignorare e lasciar fluire passivamente gli eventi, auspicando ciecamente ad un futuro “bene” illusorio. Non è certamente possibile compiere delle generalizzazioni, ma per il genere umano questo è un momento autentico, o meglio, che necessita di autenticità. La necessità primaria è quella di nutrirsi di elementi positivi, di empatizzare e cogliere nella sua essenza la crisi di solidità, sostituita dal senso da tempo dimenticato di caducità. L’invisibile cambiamento, segue indisturbato le orme dell’uomo, servendosi di esso per mettere in atto la sua forza distruttiva e modificando i nostri parametri interni ed esterni; ci troviamo a riorganizzare le nostre priorità, le nostre aspettative, i nostri desideri, i nostri ideali, le nostre fonti di nutrimento, di ricerca, i nostri bisogni, che così come il nostro nemico, si umanizzano. La voglia di vicinanza è, accanto al mero riempimento e alla controdifesa depressiva, un necessario reinvestimento di affetto, che in questo momento va disperdendosi. Si manifestano nella difficoltà del momento, atteggiamenti sovversivi, accentuazioni allo stremo della varietà dei caratteri umani; il campione umano dei profili soggettivi ondeggia dall’isolamento, pregno di sentimenti di rabbia e frustrazione, alla saturazione, con la tipica maniacalità ed eccitazione estremizzata sino alla deriva degli equilibri, i più banali. Non si riesce in questo lungo tunnel, di cui non si scorge la fine, ad assaporare la mancanza e l’inerzia, a rientrare in contatto con il significato di perdita.
È che non siamo abituati a perdere, o forse lo siamo troppo, ma siamo allo stesso tempo troppo abituati a rimpiazzare.
Possiamo definirla età della “dittatura del pensiero” questa, in cui le nostre quattro mura domestiche ci costringono a rielaborare, a tratti ossessivamente, una miriade di contenuti di coscienza, orientati anche dal ruolo decisivo delle nostre ombre.
Piccola nota fuori traccia: in maniera del tutto casuale, in questi giorni è stata introdotta nella famosa piattaforma streaming Netflix, una serie TV intitolata “Freud”; tralasciando l’opportunità interpretativa riguardo all’elemento sincronico, tale prodotto non rende sicuramente giustizia né alla biografia, né all’opera o al pensiero freudiano. Tutto sommato rimane salvo il riferimento alle significative citazioni, tra le quali una che mi ha colpito particolarmente:
“Io sono una casa. È buio al mio interno. La mia coscienza è una luce solitaria. Una candela al vento. Tremolante, da una parte e dall’altra. Tutto il resto è avvolto nell’ombra. Tutto il resto giace nell’inconscio. Ma le altre stanze ci sono: nicchie corridoi, scale, porte. Sono sempre lì. Tutto ciò che vive dentro di essa, tutto ciò che vaga dentro di essa, è sempre lì. Continua a vivere e operare all’interno della casa che sono io. L’istinto, l’eros, i tabù, i pensieri proibiti, i desideri proibiti. Tutti quei ricordi che non vogliamo vedere in piena luce, che abbiamo spinto via dalla luce, continuano a ballare intorno a noi nel buio. Ci tormentano e ci pungono; ci perseguitano, bisbigliano. Ci fanno paura, ci provocano sofferenza: ci fanno diventare isterici”.
Nonostante l’accozzaglia di elementi fantasy e polizieschi, in chiave romanzata, trapela pur sempre un senso coerente all’oggi.
Quanto questa riflessione risulta attuale?
La deriva dei nostri temperamenti è emblematica proprio adesso e comprende un’accentuazione quasi isterica (atteggiamenti di riempimento, ideali patriottici, deliri ipocondriaci, solidarietà fittizia, isolamento e distacco, ricerca di confronto e scambio con l’altro, caccia all’untore, trasgressione delle norme, assalto ai beni primari, psicosi di massa).
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A partire da questo intreccio di pensieri riporto un resoconto di analisi collettiva del brano.
Gli argomenti trattati si estrapolano a partire da uno scritto di Freud, risalente al 1915, ma comunque geniale e lucidamente attuale. Sin dall’incipit emerge un nuovo aspetto di “transitorietà di tutto ciò che è bello e perfetto” che contrasta con un nostro profondo bisogno di eternità. Ecco che compare la stretta connessione con il tempo e la sua natura intrinsecamente fugace e limitata. Come ad esordio del ‘900, la “filosofia del martello” nietzschiana aveva dichiarato un sovvertimento radicale di valori, allo stesso modo il “nemico invisibile” della nostra quotidianità ha provocato un crollo degli ideali dell’io e della società individualista e capitalista, in altre parole occidentalizzata agli estremi. Questa realtà di investimenti, sta perdendo pian piano il protagonista del suo tornaconto: l’esperienza dell’oggetto, in senso consumistico e in senso affettivo. Nello spettro della lingua italiana esistono diverse accezioni del termine “oggetto”, così come del termine “investimento”. Tralasciando una potenziale critica alla società del consumo, come unica ed effimera fonte di soddisfacimento, intendiamo analizzare queste dimensioni in termini umani; l’investimento consiste in tutte le dinamiche affettive del nostro mondo interno, le relazioni con gli oggetti da noi interiorizzati. Gli oggetti all’inverso rappresentano, sin dalle comuni origini degli individui, i legami con la realtà, che si estrinsecano in varie declinazioni. In questo panorama di distacco forzato, principalmente interno, l’alienazione in questo senso marxista comporta sofferenza, una vera e propria perdita; la limitazione si estende a tal punto da farci esperire sentimenti nuovi di incertezza, precarietà. Paradossalmente ciò non opera a livello del pensiero, poiché la capacità di elaborare e rappresentare rimane inerte, forse addirittura iperpotenziata. Cambia radicalmente ciò che viene concepito come verità, certezza in cui credevamo, in cui affogavamo la nostra frustrazione, che ci consolava dai nostri forse. Proprio per questo motivo l’importanza attuale della riflessione riguarda il metabolizzare questi contenuti negativi, renderli trasformativi. Essenzialmente perché: la forza deriva solo e unicamente dalla capacità di assaporare la debolezza.