Report del 6 maggio 2021
Il 06 Maggio al seminario organizzato da “Lo Spazio Psicoanalitico” dal titolo “Il policlinico psicoanalitico di Berlino: psicoanalisi in un tempo di crisi” tramite piattaforma Zoom, Paolo Cruciani, Bruna Palazzetti e Anna Rocchi hanno ricordato il Policlinico Psicoanalitico di Berlino mostrando le condizioni sociali e culturali che determinarono la nascita di questa istituzione nel 1920 durante la repubblica di Weimar. Il primo intervento è di Paolo Cruciani, che sottolinea l’importanza di alcuni elementi storici al fine di comprendere meglio la “vita” della psicanalisi, e ci porta immediatamente in Germania all’inizio degli anni ’20, nel periodo post Guerra Mondiale, la guerra aveva lasciato vari disordini e aleggiava l’ansia di costruire una nuova era, accentuata dalla rottura con l’ordine precedente. La guerra aveva modificato il modo di vivere, dall’abbigliamento, alla fede religiosa, gli spettacoli di intrattenimento, le abitudini sportive e le relazioni familiari, la Radio era sempre più diffusa e con essa diffuso era il senso di incertezza che sfociava in nevrosi. Testimonianza di questo sempre più crescente spirito di rinnovamento furono” l’Ulisse” di Joice, una vera e propria rivoluzione rispetto alla letteratura dell’ottocento, “Essere e Tempo “di Heidegger incentrato sull’analisi dell’esistenza umana. Il Policlinico nacque in risposta all’esigenza di questo spirito di incertezza e di rinnovamento per rendere possibile l’accesso alla terapia analitica anche a quanti non potevano ricorrere alla cura date le loro condizioni economiche. Gli analisti che lavoravano nell’istituto si impegnavano anche a raccogliere i dati relativi alla loro attività clinica in modo da avviare dei programmi di ricerca coordinati e relativi ad una casistica molto ampia. L’esempio di Berlino costituì un punto di riferimento per tutte le altre iniziative che si proponevano di rendere accessibile la psicoanalisi ad ogni ceto sociale. Contemporaneamente fu organizzato il primo istituto di formazione per gli analisti che prevedeva dei seminari e un piano di studi sistemico. Fino a poco tempo prima la psicoanalisi era vista come pornografia, invece, da questo momento in poi si apre a degli sforzi per affrontare le psicosi. Il Policlinico fu un’esperienza che nacque parallelamente allo sviluppo del pensiero di Freud. Dopo Vienna, dove era sorta la psicoanalisi, a Berlino si concretizzò un grande sforzo di sviluppo della teoria clinica e di ricerca. Le riflessioni di Freud su fenomeni psicologici collettivi ruotavano attorno all’idea di manipolazione delle masse che c’erano sullo sfondo culturale, infatti ciò determinò un incontro tra la psicoanalisi, intesa come teoria strutturale del Super Io partendo dalle fasi più precoci della vita, e le scienze sociali. In “Psicologia delle masse e analisi dell’io”, scritto nel ’21, Freud descrive i meccanismi psicologici attivati nel gruppo (massa) in azione. Egli, riferendosi agli scritti del sociologo e psicologo Gustave Le Bon, afferma che come parte della massa, l’individuo acquisisce un senso di potenza invincibile che gli permette di agire di istinti che egli avrebbe altrimenti frenato come individuo isolato. La massa, infatti essendo anonima e irresponsabile, permette all’individuo di cedere ai suoi istinti permettendo di sbarazzarsi dei propri moti pulsionali inconsci. Questa sua teoria si evince anche dall’opera del ’29 “Il disagio della civiltà”, questo saggio sociopolitico mette in luce la tensione fondamentale tra la civiltà e l’individuo; afferma che l’attrito principale, nasce dalla ricerca da parte dell’individuo della libertà istintiva, mentre la civiltà tende a chiedere l’esatto contrario. La repressione di tali istinti permette una vita sociale equilibrata, ma genera frustrazione nei singoli individui. Si deve a Max Eitingon e a Karl Abraham, la fondazione del Policlinico di Berlino nel 1920, due pionieri della psicoanalisi, personaggi di indiscussa autorità clinica e molto impegnati in ambito sociale. L’elenco dei partecipanti comprendeva alcuni degli psicoanalisti più importanti di quel periodo: Fenichel, Melanie Klein e altri. Il Policlinico berlinese rappresentò il primo contributo concreto della psicoanalisi alle trasformazioni della società occidentale; anche se tale iniziativa va considerata, principalmente, per il suo valore storico. Una caratteristica significativa di questa istituzione fu costituita dall’intento di offrire un servizio di consultazione e terapia psicoanalitica svincolato, al massimo, dalle capacità di pagamento dei vari pazienti, ciò era possibile, in quanto la struttura fisica dell’istituzione, un grande appartamento, era sovvenzionata da alcune donazioni e dalla generosità dei suoi partecipanti che, oltre a svolgere il loro lavoro senza compenso, contribuivano, in più casi, al mantenimento. Questo fu, in primo luogo, l’atteggiamento di Max Eitingon, proveniente da una ricca famiglia, che si impegnò, con grande generosità, al sostentamento della istituzione che dirigeva e in cui lavorava, senza compenso. Il Policlinico di Berlino fu la prima istituzione psicoanalitica in cui si concretizzò l’attenzione e la ricerca nel campo della psicoanalisi infantile, poiché diversi bambini, provenienti da ceti sociali disagiati, giungevano all’esame degli analisti. I pazienti provenivano dalle più diverse classi sociali e appartenevano a tutte le fasce d’età. Ciò in un periodo in cui la psicoanalisi si rivolgeva, essenzialmente, agli adulti. Tutte le categorie cliniche venivano considerate e classificate. L’interesse di Fenichel per le statistiche e la sua nota capacità nell’organizzare tabelle e compendi giocò un ruolo fondamentale nella realizzazione di questi lavori. Nel contesto del Policlinico psicoanalitico di Berlino vennero anche discusse, per la prima volta, le caratteristiche del setting in una situazione istituzionale. Molti problemi, sia di carattere pratico, sia di carattere concettuale, portavano a riflettere sulle modalità di svolgimento dei colloqui con i pazienti. Questa attenzione rievocava alcune delle idee espresse da Ferenczi. Nell’ambito del Policlinico berlinese si dibatté la possibilità di abbreviare o accelerare il trattamento terapeutico, di variare i sessanta minuti di durata della seduta, di coinvolgere il paziente in alcune decisioni relative al trattamento e così via. Secondo Fenichel che tentò, cautamente, di individuare dei criteri diagnostici, ricorrevano, con maggior frequenza, dei problemi di carattere isterico. Al secondo posto si trovavano le nevrosi ossessive, mentre alcune diagnosi fisiologiche, come l’epilessia e l’asma, si incrociavano con categorie psicopatologiche che includevano la depressione, la mania e la paranoia. Purtroppo, con il mutare del clima politico di Weimar e con l’avanzata del nazismo, l’istituzione berlinese andò in contro ad un destino negativo. Agli inizi del 1933, poco dopo il consolidamento del nazismo, i lavori di Freud vennero messi all’indice, ed Eitingon emigrò in Palestina. L’esperienza berlinese è unica nel suo genere probabilmente per il contesto in cui si è sviluppata. Il policlinico cercò di trovare una via che si focalizzasse sui temi fondamentali psicoanalitici fornendoci materiali per riflettere anche sulla nostra società. Oggi, la situazione pandemica ci riconduce a molte preoccupazioni che ci avvicinano a quel periodo. È necessario guardare le cose nella loro gravità per comprenderle e per evitare che vengano tagliati fuori aspetti che possono poi diventare patogeni. Ci sono molte preoccupazioni in questo periodo, che si possono assimilare a quelle di quel periodo.
Di fatti, oggi, dovremmo pensare alla psicoanalisi come strumento, in un momento in cui il ciclo economico e una pandemia costringono a delle modificazioni.
La crisi economica è presente oggi, come lo era allora; infatti, nella popolazione del tempo nascevano e si rafforzavamo ideologie diverse e le condizioni di estrema povertà promuovevano forti desideri di rivalsa.
Si sviluppava la convinzione per cui la psicoanalisi, fornendo una prospettiva nuova, potesse risolvere queste discrepanza, ma in questa concezione non si considerava l’influenza delle forze distruttive. I sogni degli psicoanalisti furono invasi dalla paura e i policlinici erano stati abbandonati. Gli psicoanalisti per la maggior parte ebrei sembravano negare una persecuzione reale per gli ebrei; è possibile ipotizzare che sentissero sentimento di rivalsa tenuto lontano del pensiero consapevole.
Che senso ha questa ripercorrenza storica?
Emblematico, a tal riguardo, è il titolo di una canzone di De Gregori, “La storia siamo noi”; questa ci pone di fronte ad una prima dicotomia: l’avere un gruppo di appartenenza, dal quale siamo influenzati, e il dover leggere i dati di realtà.
Gli psicoanalisti tedeschi avevano un gruppo di appartenenza e la necessità era quella di poter vedere le difficoltà della società e non l’abbandonarsi in fantasie messianiche.
È necessario elaborare l’angoscia perché se si vuole vedere la vita bisogna considerare anche gli aspetti aggressivi della società e di se stessi.
La cosa straordinaria della psicoanalisi è la capacità di risolvere i conflitti interni che stanno alla base della nevrosi e psicosi, ma anche le problematiche delle masse.
Spesso quando si è dentro un certo evento non ci si rende conto.
E’ da sottolineare che il capo, o i capi, sono sempre condizionati dalla base, sono prodotti dalla base. C’è una parte dell’individuo che si riversa nel gruppo e poi si incarna nel capo che, come dice Bion, è il più “patologico” del gruppo.
Importante è il concetto di responsabilità: l’individuo in realtà è sempre in grado di scegliere quando compie un certo atto e tra i nazisti stessi ci sono persone che si sono sottratte, a differenza di quelle che sostengono di essere state costrette.
Oggi questo si rispecchia negli influencer e nella crisi d’identità frequente.
Questo rappresenta un’altra dicotomia che vede contrapposti razionalità e irrazionalità, che lega entrambi i periodi che stiamo trattato, il passato e il presente.
Bion parla di conflitto ideopatico che riconduce all’andare contrasto col gruppo per certe concezioni non condivise, non considerando, però, che una parte di quelle cose sono state inserite da noi e, quindi, devono essere recuperate le parti scisse di sé.
“Niente di umano mi è alieno”, scrive Perrotti nella prefazione della rivista Psiche, ma quanto riusciamo a sostenerlo?
Potremmo dire, con certezza, che esista anche un fascista dentro di noi; quello che distingue il ‘900 rispetto al 2000 è il modo di occultare questi aspetti che ci riportano a questa componente fatalmente distruttiva che fa parte dell’uomo da sempre, il modo di lavorare su se stessi e con i pazienti che permette di entrare in contatto con queste parti distruttive, invece di operare un mascheramento, una scissione, una rimozione. Ovviamente, riguardo a tale differenziazione, va considerato il potere che oggi internet ha nel rapporto con la realtà e con sè stessi e crea fenomeni di gruppo che un tempo non potevano esistere.
I negazionisti di questa parte distruttiva, comune a tutti, parlano di un’estrema manipolazione che porta alla paranoia. Bisogna distinguere tra uno stato persecutorio che implica il sentirsi manipolati, che spesso è relativo ad un aspetto socio-economico, e la paura. Si pone, quindi, il problema di elaborare la persecuzione: se c’è un nazista in me, allora ho un super-io sadico e devo elaborare la pozione schizo-paranoide.
Aspetti che non farebbero paura, diventano paurosi per lo psicotico che non può pensarli. La persecutorietà sta proprio nell’incapacità di utilizzare il pensiero per le paure favorevoli alla sopravvivenza.
Si pone, così, la pensabilità come anti-paura e anti-suggestione.
Ci sono diverse paure, di essere attaccati, di non tenere assieme le parti della mente e molte altre ancora; il compito dello psicoanalista è quello di distinguerle differenziandole dalla persecutorietà stessa.
La psicoanalisi deve avere una funzione anti-paura e all’interno di questa funzione vi è il trovarne la classificazione.
Il concetto di paura e persecutorietà diventa ancor più marcato all’interno della società liquida in cui viviamo. Una società che rispecchia, in un certo senso, l’insicurezza e il senso di caos del periodo bellico.
Fobert Giusy, pre lauream
Pisa Irene, pre lauream
Armeli Moccia Federica Tindara, pre lauream
Pocorobba Claudia, post lauream