“Scritto sulla mia pelle” di Pietro Vaghi

Scritto sulla mia pelleHo letto il libro “Scritto sulla mia pelle” senza conoscere prima nulla, né del romanzo, né del suo autore. È un modo che utilizzo e che amo, perché mi offre la possibilità e la libertà di sentire le emozioni che mi trasmette la lettura, senza avere alcun filtro che possa in qualche maniera influenzare le mie impressioni.

L’inizio di un libro, le prime frasi, sono per me molto importanti, perché dal modo in cui mi catturano, capisco se quel libro potrà diventare compagno delle mie ore future.

Stefano, sedicenne, protagonista del romanzo, parla in prima persona, e da subito ha la capacità di farti entrare in un momento della sua vita in cui il dialogo con se stesso, non solo è intenso e profondo, ma anche molto necessario.

Si respirano nelle sue parole tanti temi che investono l’adolescenza: gli amici, la famiglia, la musica, la scuola, l’amore, la propria città, il rapporto con Dio, la solitudine.

E proprio quello della solitudine è un tema che, a mio avviso, il libro affronta, descrive e, in qualche modo, risolve con molta efficacia. La solitudine come sensazione di essere tenuto fuori, all’improvviso, da tutto quello che prima era familiare, quotidiano, scontato proprio per la sua presenza. Stefano infatti, si ritrova, da un giorno all’altro, a vivere in una famiglia che ha subito un cambiamento radicale, ma di cui non si può parlare. I fatti che lui conosce sono solo che, durante il trasloco per andare ad abitare nella casa nuova, la madre ha lasciato la famiglia per un periodo di pausa. È’ andata a stare a casa della sorella, separata, e con un figlio adolescente.

Stefano si ritrova a sedici anni, nella casa nuova, con il padre, il fratellino, Paolo, di nove anni, e il nonno paterno, che soffre di demenza.

Il punto è che da quel momento, non ha più la possibilità di essere lui l’adolescente, l’inquieto, l’incerto.

Gli piomba addosso qualcosa che non può capire perché non conosce i fatti, li può solo vedere scorrere davanti a se’, se ne deve anche prendere carico, ma non ne può cogliere il senso, perché nessuno gli dice nulla. Ha dunque in famiglia una parte attiva: si occupa del fratello, del nonno, aiutato in questi compiti da una governante, Serena, che ha una storia molto drammatica e che è molto attenta a lui; Stefano però non può comprendere cosa realmente stia accadendo, e non sa se questa situazione sarà temporanea o definitiva e soprattutto non capisce perché si sia creata…

Questo è secondo me un punto che il romanzo tocca con molta forza: un elemento perturbante, un fatto nuovo, di cui non si conosce niente, che irrompe nella quotidianità e che la trasforma e che diventa tanto più doloroso, quanto più familiare, consolidato e amato era tutto quello che si aveva prima. Ma che al tempo stesso si ha la pretesa di integrare nel tessuto normale come se niente fosse accaduto. Come la casa nuova che per Stefano, svuotata da tutto quello che abitava la casa vecchia, i momenti familiari trascorsi tra le vecchie pareti, non ha alcun valore, anzi risulta disturbante perché rappresenta proprio il cambiamento, ma un cambiamento verso cosa?

Potremmo dire che l’adolescenza di Stefano venga ad essere ‘disturbata’ da questioni che non dovrebbero riguardargli, che dovrebbero restare sullo sfondo, che tolgono spazio, tempo ed energia alle sue evoluzioni di ragazzo.

Ma Stefano è un abile sciatore, sa affrontare con audacia imprese anche complesse. Allora questa solitudine dolorosa, strana, non cercata, amara e inspiegabile, diventa quasi uno spazio, un rifugio, un luogo da dove puo’ mettersi a osservare il mondo.

Intanto per comprendere meglio quello che si sta muovendo attorno a lui, e poi, per scoprire anche tante cose che in quel momento sembrava non cercare. Paradossalmente, proprio questo suo rifugio diventa un modo per progredire, per pensare si’ agli altri, ma attraverso la propria chiave di lettura, attraverso i suoi occhi di ragazzo, attraverso le sue intuizioni. La sua posizione di spettatore, passivo per quanto si è trovato a vivere, ad un certo punto si capovolge, offrendogli invece la possibilità di comprendere “attivamente” gli altri, di andare in cerca di qualcosa da fare, per tentare di risolvere la situazione familiare che rimane in un incredibile stallo.

Così il romanzo si anima di queste osservazioni e scoperte che Stefano va facendo. Non svelo la trama che va snodandosi nelle pagine di una scrittura intensa, che cattura, che si lascia seguire in un continuo rimando tra la realtà esterna e il procedere interno del protagonista e che l’autore suddivide in tre parti, infanzia, adolescenza, maturità. Molto efficaci le descrizioni dei personaggi che Stefano in un certo senso osserva più da vicino per la prima volta.

E così Stefano si imbatte nel dolore e nel bisogno del fratello che può piangere, lui si’, per la mancanza della loro mamma, che può appiccicarsi anche addosso a lui, fratello maggiore idolatrato, può eleggerlo suo eroe, anche quando così eroico Stefano non crede di essere stato.

Stefano scopre il vantaggio di avere un amico rumoroso, Max, sbruffone, talvolta maldestro, che lo fa arrabbiare perché gli rimanda aspetti di se’ che Stefano non sempre è pronto ad accettare. E che gli fa compagnia, sempre e comunque, anche attraverso le continue reciproche sfide sugli sci, che hanno il sapore di prove di forza e destrezza, un allenamento a saper restare sempre in piedi, pur andando alla massima velocità. Max che sa proprio stare con lui, a volte anche sopportando i suoi silenzi e i suoi malumori, e che si mostra apertamente, in tutta la sua fragilità e vulnerabilità, quando si innamora seriamente di Francesca.

Dal suo angolo di osservazione può vedere meglio Victor, il suo istruttore di sci e di palestra, che lo ospita durante un suo allontanamento da casa, che da uomo saggio, silenzioso e quasi irraggiungibile, diventa, prima anche lui un uomo che lo delude per la sua incoerenza, e poi un uomo che lo fa pensare, riflettere, perché tutto sommato è più umano e fallibile di quanto Stefano potesse immaginare.

Così, con uno stato d’animo tormentato, grondante di sofferenza, al lavoro con se stesso per decodificare la realtà che lo circonda, ma forse anche con la speranza di poter ricostituire la felicità familiare, Stefano, ad una festa di un’amica, scopre malamente, attraverso le parole pungenti e piene di veleno del cugino, più arrabbiato di lui, qualcosa che riguarda la sua famiglia. Questa verità lo sconvolge, lo offende, lo turba.

Nulla è più come prima, o forse si domanda, nulla, spesso, è come sembra?

La sua rabbia però va in cerca di risposte, stavolta in modo aperto e non più procrastinabile.

E allora incontra la fragilità dei suoi genitori, della madre, arrabbiata, ferita, che non riesce ad andare avanti, a decidere cosa fare e che, nella sua pausa non riesce a non coinvolgere, con i suoi silenzi, con il suo improvviso sparire, i due figli. Una donna che si è’ messa in stand by, ma che non riesce a raccontare il suo dolore, lo può solo lasciare intuire. Forse perché non vuole che la rabbia che la pervade intacchi anche i figli. Ma che sottovaluta la loro capacità di comprensione e di sostegno.

E il padre, in crisi, incapace di affrontare la situazione, di dire qualcosa ai propri familiari, di condividere, di rompere il silenzio di una quotidianità che ha perso ogni colore, ma che si pretende vada avanti come se nulla fosse cambiato. Anche lui incredulo nello scoprire quanto invece sia diventato grande Stefano e quanto da lui possa imparare.

Stefano può accorgersi anche degli sprazzi di lucidità, utili, puntuali, del nonno, forse troppo presto considerato assolutamente assente, che invece tratteggia momenti di vita della vita di coppia e familiare, molto utili nella comprensione del rapporto tra un uomo e una donna, e che, nella distanza della sua malattia, ha colto più cose di quanto si possa pensare.

In questo suo spazio di osservazione, entra, all’inizio in punta di piedi, Elisa. Poco per volta diventa una compagnia, come un pensiero dolce e segreto, che cresce dentro di lui, Elisa, una compagna di classe nuova, da poco trasferitasi a Genova.

Elisa, lei, conosce il dolore, lo ha affrontato e continua a farlo, a volte anche mostrando una forza ed una saggezza poco comuni alla sua età’. Ha due sorelle, la più piccola, Francesca, che diventa la fidanzata di Max e la grande, Alessandra, ragazza problematica, di cui Elisa si prende molta cura. Elisa sa ascoltare, sa essere presente nel dolore di Stefano con delicatezza, perspicacia e con una attenzione costanti. Lei ha un padre cui appoggiarsi, un padre col quale tornare bambina. E c’è Stefano, con tutte le sue vicende e i suoi pensieri.

E ad un certo punto, ancora un passaggio; il romanzo è come se accendesse la luce, un occhio di bue, solo su Stefano, del ragazzo alle prese con le questioni, finalmente, della sua età’.

È una nuova sensazione, quella che Stefano vive, un dolore, forse, ancora più intenso e solitario, ma è tutto suo. Una nuova riflessione di Stefano, e una metafora molto calzante del crescere: forse le persone che amiamo possono non essere perfette, forse sono assolutamente disastrose nelle loro relazioni, forse sbagliano, ci deludono e continueranno a farlo. Forse anche Stefano non è il figlio, il fratello, il nipote, l’amico, la persona perfetta. Si apre qui anche una parte molto intensa rispetto alla fede. Ma Stefano, comunque, sente di appartenere saldamente a questa umanità, a questi suoi familiari così terremotati, così incerti. Alla sua Elisa, forte e fragile insieme. L’odore di quelli che ama è sulla sua pelle. Le loro storie, le loro vite, sono profondamente legate, scritte sulla sua pelle.

Sullo sfondo c’è una città, Genova, che attende mentre tutto corre, che sembra accogliere, nelle sue spiagge solitarie, nei suoi bar familiari, nelle sue montagne innevate, nei suoi vicoli segreti, pericolosi e affascinanti e nei suoi panorami, così poco perfetti e anche sorprendenti di bellezza e, al tempo stesso vibranti di vita, il movimento di Stefano, il suo sgranchirsi, i suoi passi, senza troppe aspettative, senza fretta…

Mara Siragusa


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